Gwangju, 18 maggio 1980: questi sono il luogo e la data da ricordare quando si parla dell’inizio della repressione militare più violenta e con il maggior numero di vittime civili messa in atto dal governo in Corea del Sud dopo la fine della Guerra di Corea nel 1953, quindi in tempi di pace. La strage durò dieci giorni e i dati riportano un numero di vittime davvero elevato: 165 sono i civili uccisi direttamente dai soldati durante le proteste, 65 gli scomparsi (a oggi ritenuti morti), 337 i deceduti in seguito alle ferite riportate, per un totale di 567 vittime, moltissime delle quali giovani studenti universitari, ma si contano anche svariati studenti di medie e superiori, e persino bambini.
A queste vanno aggiunte le 7 persone condannate a morte tra quelle arrestate all’epoca e i 46 suicidi fra i sopravvissuti (avvenuti fra il 1980 e il 2019).
Fra le forze dell’ordine invece ci furono 26 vittime (22 soldati e 4 poliziotti), metà delle quali da fuoco amico. Si presume in realtà ne siano morti di più, poiché vi sono state testimonianze di poliziotti uccisi per aver lasciato andare degli studenti.
ATTENZIONE: in giro per l’internet moltissime fonti riportano numeri ben diversi (tra le mille e le duemila vittime), e altro non sono che le stime che vennero fatte all’epoca. Solo nel corso degli anni, infatti, è stato possibile stabilire, con quasi assoluta certezza, il numero reale delle vittime totali (fonti ufficiali in fondo all’articolo).
Alla base di questo articolo c’è l’idea di raccogliere, in un insieme organico, tanti tipi di opere d’arte non solo ispirate dalla rivolta, ma anche connesse ai sentimenti che hanno animato quelle giornate e all’impatto che hanno avuto su chi le ha vissute o ha subito la repressione di quegli anni di dittatura. Perché, come scritto poc’anzi, le proteste di Gwangju sono state la miccia che ha dato via al movimento di democratizzazione del paese, ma le espressioni di malcontento nei confronti dei tanti anni di regime militare si verificarono già da prima e hanno continuato anche dopo quella tragica ed emblematica vicenda, ed è tutto collegato dalla stessa convinzione nel combattere le ingiustizie e da un sentimento di rivalsa popolare.
Ovviamente, con questa mia ricerca (per quanto approfondita e il più possibile accurata) non pretendo di essere riuscita a riunire tutte le opere e tutti gli autori che si sono esposti con la loro arte in merito all’insurrezione di Gwangju e ai valori ad essa associati, tuttavia sono abbastanza certa di averne presentato i maggiori esponenti e le opere più importanti e conosciute (inserendo persino produzioni poco note anche in patria, per motivi che vedremo poi).
Ma prima di addentrarci nelle opere d’arte che si sono ispirate a quelle giornate di terrore e orrori, ma anche di lotta per la libertà, cerchiamo di capire cosa sia accaduto nello specifico, quale fosse la situazione che ha portato a questa sanguinaria reazione da parte dello Stato e cosa abbia rappresentato e rappresenti oggi quest’evento per il paese.
INDICE DEI PARAGRAFI
- Contesto storico
- Cosa simboleggia oggi quella contestazione finita nel sangue?
- Discorso di introduzione all’arte ispirata dall’insurrezione
- Manifestazioni
- Conclusione
- Indice delle arti
Contesto storico
- 26 ottobre 1979: Park Chun-hee (dittatore della Corea del Sud dal 1961 e instauratore della Costituzione Yushin tramite legge marziale nel 1972) viene assassinato da un suo amico intimo, capo delle spie del suo governo. Subito dopo Choi Kyu-ha viene scelto come Presidente ad interim e indice la legge marziale su tutto il territorio nazionale, fatta eccezione per l’isola di Jeju.
- 27 ottobre 1979: Chun Doo-hwan viene nominato capo del comando investigativo congiunto, che si occupa di indagare sull’omicidio del Presidente.
- In seguito alla dipartita dell’ormai ex Presidente, nasce il movimento per l’abolizione della Costituzione Yushin istituita da Park Chun-hee, in cui si richiedeva una riforma costituzionale, dato che il precedente governo non aveva fatto altro che soffocare pesantemente ogni voce a favore della democratizzazione.
- 7 dicembre 1979: Choi Kyu-ah viene confermato Presidente della Corea del Sud dall’Assemblea Nazionale per la riunificazione. Subito dopo il suo insediamento, revoca la misura d’emergenza num. 9, che vietava qualsiasi tipo di critica o discussione sulla costituzione. Promette poi di riformarla democraticamente, e allenta la repressione politica.
- 12 dicembre 1979: un gruppo radicale militare di nome Hanahoe, di cui fa parte anche Chun Doo-hwan, attua un colpo di stato e i golpisti prendono il potere.
- Inizia maggio e con lui anche le proteste studentesche relative alle dimissioni di Chun Doo-hwan, in quanto rappresentante della nuova giunta militare che mostrava volontà di ingerenza nella politica del paese.
- 17 maggio 1980: a partire dalla mezzanotte viene estesa la legge marziale su tutta il paese, compresa l’isola di Jeju. Viene così proclamata la legge marziale num. 10, che prevedeva il divieto di attività politiche, la chiusura delle università, il rafforzamento della censura preventiva sui media, e il divieto assoluto di assemblee e manifestazioni. Queste misure furono adottate grazie a una sospensione dell’ordine costituzionale.
Poco prima di annunciare la messa in atto dello stato militare d’emergenza, 26 importanti (e scomode) figure politiche vennero arrestate, ed entro le ore immediatamente successive si era arrivati alla cattura di 2.699 civili tra studenti, politici e attivisti.
Circa il 93% delle forze militari furono mandate a sedare le proteste universitarie, mentre solo il restante nei luoghi e nelle sedi sensibili di altra natura. Questa mossa fa percepire chiaramente quanto timore incutesse la voce della massa a chi era al comando. - 18 maggio 1980: le truppe arrivano a Gwangju, che come nei giorni precedenti, è teatro di proteste a suon di “Liberate Kim Dae-jun”, “Abrogazione delle legge marziale” e “Dimissioni di Chun Doo-hwan”. I soldati iniziano ad attaccare non solo gli universitari che stavano protestando, ma anche chi non c’entravano nulla, persone che magari stavano semplicemente passando sulla stessa strada. Questa violenza ingiustificata scatenò una reazione di forte rabbia da parte di tutta la popolazione e così anche studenti più giovani (scuole medie e superiori) e adulti decisero di partecipare a quella che stava prendendo la forma di una vera e propria insurrezione.
- il 21 maggio 1980, intorno alle 13:00 del pomeriggio, avviene la prima strage su larga scala: i militari aprirono il fuoco sui civili radunati di fronte all’edificio della sede provinciale del governo e all’Università Chonnam, uccidendone a decine in una sola volta. Per questo, per molti il vero massacro di Gwangju non iniziò il 18, ma il 21 maggio.
Tuttavia, considerando che la situazione si estendeva a livello nazionale, perché proprio a Gwangju accadde quello che sappiamo? La motivazione è che la regione del sud in generale (la provincia di Jeolla), e per transizione Gwangju stessa, si porta dietro una lunga storia fatta di lotta e resistenza, e mentre alla soglia del 18 maggio 1980 altre città cessarono le proprie dimostrazioni attiviste con la stretta della legge marziale num. 10, Gwangju non solo non si arrestò, ma acquisì sempre più vigore e convinzione nella sua opposizione.
Il retaggio storico della zona riguardo pratiche di rivolta e ribellione può essere fatto risalire addirittura ai tempi del tardo Joseon, per la precisione alla Rivoluzione Contadina di Donghak del 1894. Il movimento fu fondato più di 30 anni prima contro la cultura occidentale che rischiava di invadere e oscurare le tradizioni orientali, e promuoveva l’uguaglianza e la creazione di una propria democrazia. Trovò terreno fertile tra i ceti meno abbienti che erano oppressi dal sistema di corruzione, e dalle disparità sociali e fiscali che da secoli caratterizzavano il regno.
La seconda grande protesta della zona, che stavolta partì proprio da Gwangju, è avvenuta durante l’occupazione giapponese: nel 1929 degli studenti giapponesi molestarono delle studentesse coreane alla stazione di Naju (città situata nella provincia del Sud Jeolla), e in risposta a ciò ebbero vita proteste anti-giapponesi sempre più animate nei licei di Gwangju.
Da qui nacque il Movimento studentesco di Gwangju per l’Indipendenza, che data l’adesione di 323 scuole in tutto il paese, come rilevanza e come impatto popolare, è secondo solamente al movimento per l’indipendenza di 10 anni prima, nel 1919, chiamato Movimento del 1° marzo.
Si arriva così alla terza grande protesta del sud, sempre a Gwangju: dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1948, gli abitanti del meridione non erano affatto d’accordo con l’oppressione violenta nei confronti dei movimenti comunisti nella regione e in più non si sentivano minimamente rappresentati e presi in considerazione a livello nazionale. Alla fine le proteste furono sedate, ma erano state sufficienti per mettere ancora una volta sotto i riflettori i sentimenti di resistenza della città agli occhi delle autorità centrali.
Cosa simboleggia oggi quella contestazione finita nel sangue?
Ci sono vari modi per definire quelle giornate di Gwangju: si possono utilizzare termini come “contestazione”, “massacro”, “rivolta”, “insurrezione”, “protesta”, “strage”, e ognuno è vero, ma ciò che cambia è la connotazione che si vuole dare all’episodio.
Perché a Gwangju quei giorni di maggio del 1980 ci furono molte vittime innocenti, sia coloro che stavano lottando per la libertà, sia quelli che vi si trovarono coinvolti per fatale casualità, e questo ha portato a ferite individuali e collettive indelebili e non rimarginabili. Tuttavia, è importante fare in modo che i sentimenti positivi che hanno infuocato i cuori di quelle persone che erano lì consapevolmente e sono morte conoscendo il rischio, non vengano offuscati dalla tragedia: se c’è un orrore ancora più grande che si può commettere nei loro confronti, dopo una morte irragionevole e prematura, è quella di considerarli solo vittime e non eroi o martiri, di non riconoscere loro quell’orgoglio popolare e quella voglia irrefrenabile di giustizia ed equità che li contraddistingueva, sapendo di non lottare da soli per loro stessi, ma di lottare per la comunità tutti insieme. Questa è stata Gwangju, ed ecco perché nel titolo ho volutamente omesso la parola massacro (come è comunemente chiamato in Italia), perché volevo invece dare luce a ciò che è nato da quel movimento: la democrazia di un intero paese.
Oltretutto è bene ricordare una cosa fondamentale: quest’anno ricorre il 45° anniversario della rivolta, e ciò vuol dire che la vicenda è relativamente recente e molti testimoni di quelle giornate e/o del regime di quel periodo sono in vita, e lo saranno ancora per svariati anni.
Per questo le loro ferite sono ancora fresche e brucianti, e i sentimenti che animavano gli anni ’70 e ’80 non si sono per nulla assopiti, a differenza di quanto accade in Italia per la memoria del ventennio fascista. In Corea del Sud molti ricordano ancora vividamente il terrore di vivere sotto dittatura: tanti genitori che persero i figli studenti, stanno ancora piangendo la loro scomparsa e la loro mancanza; molti di quelli che hanno partecipato alle proteste, possono ancora raccontare cosa accadde, quali furono le dinamiche, o vivono ancora con i sensi di colpa per non essere mai stati presi dalla polizia, o ancora per essere usciti indenni da catture e torture, o infine per essere sopravvissuti agli eventi più drammatici senza essere riusciti a salvare questo o l’altro compagno, ma anche con la consapevolezza che stanno portando avanti quella lotta che avevano iniziato insieme a loro, passando quegli ideali alle nuove generazioni.
È per questo che l’arte ispirata da quei giorni fluisce così naturalmente dagli animi degli artisti ancora oggi, e intendo sia gli artisti di una certa età, che quell’epoca l’hanno vissuta, sia gli artisti molto più giovani che sono ispirati dalla memoria individuale o collettiva che permea in maniera pulsante la rete sociale coreana.
Ma il trauma collettivo è ancora tanto sentito per un’ulteriore ragione: l’ex Presidente Chun Doo-hwan, colui che ha comandato la repressione su Gwangju, non si è mai scusato per le numerose vittime, né ha mai riconosciuto alcuna macchia nel suo operato (d’altronde è rarissimo che un dittatore porga le sue scuse per i crimini che ha commesso, poiché è solito nascondersi dietro una presunta legittimazione degli stessi).
Questo sotto è un video del famoso canale d’informazione Asian Boss che intervista donne e uomini di una certa età riguardo la morte del dittatore, avvenuta nel 2021 a 91 anni.
Le prime scuse ufficiali per l’accaduto sono arrivate solamente due anni fa da suo nipote, Chon Woo-won, che si è recato a Gwangju a incontrare i familiari delle vittime e a chiedere loro perdono. Il giovane si è scusato per conto del nonno e ha ammesso gli abusi da lui commessi. Non solo, lo ha apertamente definito “peccatore”, “massacratore” e “assassino di massa” e ha dichiarato, testuali parole: “Non è un eroe che ha protetto il nostro paese, è solo un criminale”, espressioni che descrivono senza ombra di dubbio la realtà dei fatti, ma di certo non facili da riservare a un membro della propria famiglia, per quanto corrotto.
Discorso di introduzione all’arte ispirata dall’insurrezione
Quando si cerca di metabolizzare stragi volontarie di tale portata ed entità, il primo pensiero va sempre legittimamente alle vittime, che siano state consapevoli o meno del proprio destino.
Tuttavia, l’arte non nasce solo dal bisogno di elaborare emotivamente e psicologicamente un evento traumatico, o di rendere onore ai caduti, ma anche dall’esigenza di analizzare il motivo per cui sia accaduto tale evento. Per fare ciò spesso bisogna addentrarsi in luoghi oscuri, in cui, proprio per il loro buio pesto, non è sempre facile definire i confini delle cose.
Ad esempio, alcuni dei film, dei drama o delle opere teatrali che approfondiremo più avanti raccontano i fatti e le conseguenze della rivolta di Gwangju anche (o solamente) dal punto di vista dei carnefici, ossia dei militari, alcuni dei quali in quei giorni si sono macchiati di molteplici crimini.
Ci si potrebbe chiedere: c’è davvero bisogno di indagare sul perché siano stati commessi, in quali circostanze, oppure se tutti i soldati presenti abbiano agito con la stessa ferocia? Assolutamente sì, innanzitutto perché coerenza vuole che in un contesto in cui si richiede giustizia per le vittime, il processo morale (ed eventualmente quello di fatto) ai colpevoli debba essere giusto ed equo, altrimenti si cade in una contraddizione che fa perdere di credibilità il giudizio finale. Secondo, perché non si deve mai estrapolare un crimine dal contesto in cui viene perpetrato: se si comprende da cosa sia nata l’efferatezza di un atto, si saprà come evitare le condizioni ideali affinché venga commesso di nuovo.
Nella vicenda in questione, c’era un intero sistema (quello totalitario) che da decenni non solo legittimava certi atteggiamenti e reati, ma li incitava anche, proprio per creare quel circolo vizioso di terrore di cui da sempre si nutrono le dittature per controllare e tenere sotto scacco le masse: o la vittima che subisce violenza risponde con altrettanta violenza, se non maggiore, diventando egli stessa carnefice, o per la paura di poter diventare vittima si finisce per ferire per primi come strumento inconscio di difesa, o ancora, si viene convinti del fatto che si sta agendo per un bene superiore, contro un nemico comune che molto spesso è creato ad arte dal regime stesso.
Dato che la mente, pur di non mettersi in discussione e di pensare continuamente di star vivendo nell’errore, preferisce normalizzare il tutto, l’unica cosa che rimane da fare è interiorizzare, metabolizzare e classificare questi meccanismi come “normali”. A quel punto l’asticella di ciò che può essere considerato eticamente e moralmente sbagliato si abbassa di molto e anche i basilari sensi di colpa potrebbero affievolirsi o addirittura venire meno. Sottolineo potrebbero, perché per molti non è così e avremmo modo di constatarlo in maniera approfondita: come ci sono soldati dell’epoca che oggi vivono tranquillamente nonostante tutto, ci sono anche quelli rimasti traumatizzati e sui quali gravano conseguenze psico-emotive considerevoli.
Pertanto, è giusto mostrare anche il punto di vista della parte chiaramente in torto? La risposta è di nuovo sì, perché, a parte i grandi gerarchi militari che hanno sempre cognizione di causa e fanno ciò che fanno per scopi ben precisi, fregandosene delle persone colpite e delle conseguenze, chi è ai piani più bassi della società molto spesso è una pedina dell’impianto autoritario e vittima egli stesso del sistema di violenza, potere, corruzione e disumanizzazione creato a tavolino dal tiranno di turno. Infatti, in ogni documentazione che riporta la situazione dei militi appena prima dell’attacco a Gwangju (e anche questo si vede in svariati film), si può notare la loro completa ignoranza riguardo la missione che stavano andando a compiere. Giovani letteralmente presi, trasportati senza sapere dove stessero andando e gettati sul “campo da guerra”, a cui è stato detto, solo una volta arrivati, “andate e uccideteli tutti”.
Ciò significa che chi ha commesso un reato non debba essere giudicato e punito a dovere? Certo che no, perché cercare motivazioni non vuol dire giustificare gli atti nati da determinate situazioni (per quanto malsane), ma, come detto sopra, vuol dire avere la consapevolezza necessaria per poterli stroncare alla nascita in futuro.
È essenziale comprendere che chiudere gli occhi di fronte alla cause degli orrori e giudicare solo il fatto di per sé non fa altro che alimentare un sistema esclusivamente punitivo che, per una società che aspira a essere sana ed equa, non solo non è fruttuoso, ma è controproducente, in quanto conduce a un’involuzione del pensiero critico, dei principi e degli ideali.
Manifestazioni
Data l’importanza della vicenda, è normale e dovuto che ci siano svariate manifestazioni dedicate alla sua memoria e che attivamente prendono parte a un percorso di consapevolezza della popolazione coreana.
- Cerimonia ufficiale del 18 maggio: è la principale manifestazione legata all’insurrezione e si svolge ogni anno a Gwangju al Cimitero Nazionale del 18 maggio (QUI per vederne la struttura e i monumenti che ne fanno parte). La prima volta si tenne in occasione dell’inaugurazione del nuovo cimitero per le vittime della rivolta, nel 1997, e da lì si ripete ogni anno, con la partecipazione di rappresentanti del governo, membri delle forze armate, famiglie delle vittime e cittadini (lo scorso anno erano presenti circa 2.500 persone). Nonostante non abbia mai subito interruzioni anche sotto i vari cambi di governo, il come svolgerla è comunque sempre stato fonte di accesi dibattiti, tanto che è stata più volte boicottata dalle associazioni dei famigliari delle vittime e dai rappresentanti del Partito Democratico, che non erano in linea con la gestione del Grande Partito Nazionale, di tendenza conservatrice (QUI per leggere meglio la questione, legata più che altro all’esecuzione o meno del brano di protesta per eccellenza, “March for the Beloved”).
- Forum sulla democrazia di Gwangju: Il Gwangju Democracy Forum è un evento annuale che riunisce esperti e attivisti per discutere temi legati alla democrazia, ai diritti umani e alla giustizia transizionale. Nel 2024, il forum si è svolto dal 14 al 18 maggio, con il tema “Crisi della libertà – Il futuro che vogliamo”.
- Fondazione Commemorativa del 18 Maggio: questa associazione organizza mostre come “May Is…”, che esplorano la storia, la verità e la memoria della rivolta di Gwangju. Queste mostre si tengono in vari luoghi, tra cui il May Recollection Archive Hall a Gwangju.
- Biennale di Gwangju: artisticamente parlando non c’è dubbio che l’evento più importante sia la Biennale che si svolge nella città. Si tiene sin dal 1995 e si tratta della più longeva biennale d’arte contemporanea dell’Asia. Molte delle opere che abbiamo precedentemente visto nelle sezione dedicata all’arte visiva, sono state esposte alla manifestazione o sono state create appositamente per essa.
- Biennale di Venezia: l’insurrezione è arrivata fino a noi, in italia. Infatti alla Biennale di Venezia del 2022, la Fondazione della Biennale di Gwangju ha tenuto una mostra speciale sul Movimento di democratizzazione del 18 maggio, per informare il mondo del valore della democrazia basata sullo “Spirito di Gwangju”. L’esposizione artistica, intitolata “To Where the Flowers Are Blooming” ha preso il nome dalla frase conclusiva del libro di Han Kang, “Atti umani”, che recita: “C’è il sole laggiù, mamma, e anche un sacco di fiori. Perché camminiamo al buio? Andiamo laggiù, dove sbocciano i fiori”.
Conclusione
La resilienza e lo spirito combattivo del popolo coreano l’abbiamo vista tutti quando, il dicembre dello scorso anno, l’allora presidente coreano Yoon Suk-yeol, ha tentato una sorta di golpe reinserendo inaspettatamente, dopo oltre quarant’anni, la legge marziale: la popolazione è insorta, i politici sono stati aiutati dai cittadini a entrare al palazzo dell’Assemblea Nazionale (completamente bloccato dai militari), per farli votare contro lo stato militare d’emergenza appena proclamato e revocarlo. Fortunatamente, coloro che sono riusciti ad accedere erano in numero sufficiente per deliberare e il voto è stato unanimemente a favore dell’abrogazione: nessuno, nemmeno il capo del partito del Presidente, sarebbe potuto essere d’accordo con tale colpo di testa (altro che di stato). A dire la verità, i militari stessi, che si sono scontrati con la folla riversatasi per le strade, non sembravano minimamente intenzionati a usare modi violenti per reprimere le proteste, e si sono ritirati non appena il Presidente dell’Assemblea Nazionale (Woo Won-shik) li ha esortati a farlo.
Le emozioni legate all’insurrezione di Gwangju, che è stato un punto di svolta storico per la Corea del Sud, sono ancora pulsanti e sono molteplici, ma d’altronde sappiamo bene che la storia non è statica: oltre i fatti innegabili, ci sono i punti di vista di chi li ha vissuti e di chi vuole dire la sua in merito, e niente li esprime meglio dell’arte.
Spero abbiate apprezzato questo viaggio, senz’altro intenso ed emotivamente faticoso, ma anche eccezionalmente motivante e coinvolgente.
L’augurio è che ogni sacrificio dell’epoca non sia stato vano e che la Corea del Sud possa continuare a imparare dai propri errori (cosa che dovremmo fare anche noi).
Indice delle arti
Questo articolo sarà suddiviso in dieci uscite, e ogni volta si è affrontata un’arte diversa. Di seguito l’indice:
- Musical e spettacoli teatrali
- Brani, opere musicali e video
- Animazione
- Libri e fumetti
- Arte visiva
- Documentari
- Poesie
- Monumenti ed edifici
- Film, mediometraggi e corti
- Drama
Fonti:

3 pensieri riguardo “Corea del Sud: l’insurrezione di Gwangju e l’arte da essa ispirata”