“Rainless Love in a Godless Land”: da Taiwan, un drama affascinante sulla mitologia indigena

Rainless Love in a Godless Land” (letteralmente “Un amore senza pioggia in una terra senza Dio”) è una serie romance drammatica taiwanese di stampo fantasy del 2021, composta da 13 episodi di circa 1 ora e 10 l’uno.

Dalla mente di Chi Feng Chien, che in coppia con Hsin Hui Lin ha creato la sceneggiatura del capolavoro taiwanese moderno per eccellenza, “Someday or One Day“, e del comunque molto bello “Attention, Love!“, ecco un’altra opera immensa, profonda, importante.

Questo drama ha delle premesse davvero peculiari che lo plasmano per dar vita una storia altrettanto singolare: si basa sulla mitologia animista di uno delle tribù indigene di Taiwan, gli amis.
La storia è ben calibrata e riesce perfettamente ad amalgamare l’approfondimento su questo popolo, il chiaro messaggio ambientalista che è proprio della loro cultura, e la caratterizzazione e gli antefatti dei numerosi personaggi che calcano la scena. La trama e il significato intrinseco della serie sono davvero complessi e la verità che si cela dietro all’intera storia è ben al di là di ogni teoria che si possa montare in piedi durante la visione.

Ma prima di analizzare il drama più in profondità, trovo interessante conoscere per sommi capi la storia degli amis, la loro cultura e la loro religione, e così facendo, anche la storia di Taiwan stessa.

Indice

Gli amis sono un gruppo etnico austronesiano nativo di Taiwan e sono uno dei sedici gruppi etnici indigeni ufficialmente riconosciuti nell’isola. Noti anche con il nome nativo di “Pangcah”, gli amis parlano una loro lingua, che non ha nulla a che vedere con alcun ceppo cinese, e il loro alfabeto è di derivazione latina, esattamente come il nostro (a breve ne vedremo il motivo).
Al gennaio 2020, si contavano 213,514 persone, quasi lo 0,9% della popolazione taiwanese nel suo totale, il che lo porta (almeno fino al conteggio di tale dato) ad essere il gruppo indigeno più numeroso del paese.

Ad oggi la loro è una credenza sia animista, sia cristiana. Secondo la prima, tutto ciò che ci circonda possiede uno spirito, persino le cose inanimate. Questi spiriti vengono chiamati kawas e possono essere sia donatori di benedizioni, sia portatori di calamità, a seconda del comportamento del singolo essere umano. Stando a questa credenza, esistono diversi tipi di kawas, di cui fanno parte anche le divinità.
Il risultato di questa visione animista del mondo è un rapporto con la natura molto viscerale, una connessione intima che porta a un profondo rispetto e a una sentita venerazione di ogni cosa del creato (da qui l’ottica ambientalista del drama). La struttura delle loro tribù, per quanto oggi si siano molto urbanizzati, segue i modelli più antichi dei villaggi e sono ancora importanti i ruoli che vengono ricoperti da determinate figure, come ad esempio i loro sciamani, chiamati sikawasay. Essi fanno da mediatori, da connessione tra i kawas e gli umani, tra mondo spirituale e mortale. La cosa particolare è che, secondo tradizione, non si diventa sikawasay per scelta, bensì perché, a seguito di una grave malattia in giovane età, si viene salvati da un kawas disposto a farci da angelo custode. Il prezzo da pagare per questo salvataggio è appunto intraprendere la via sciamanica e mettersi a servizio degli umani, degli dei, degli spiriti e degli antenati, con la conseguenza di dover essere sempre a servizio del villaggio e quindi di non poterlo mai lasciare (non a lungo perlomeno).

La cristianità invece è subentrata in un secondo momento, ed è stato per via del mix delle credenze indigene con essa che si è arrivati a concepire l’esistenza di un Dio creatore di ogni cosa all’interno della loro cultura, creatore che oggi gli amis chiamano Kakarayan. Ma l’influenza del cristianesimo non si è fermata qui: innanzitutto ci sono le chiese cristiane a identificare la profonda presenza della religione sul territorio, ma anche i rituali e le cerimonie odierne sono una miscela tra le due credenze. O ancora il concetto di “regno spirituale” che coesiste con il concetto di “paradiso e inferno” è un risultato di questa combinazione. In egual modo, molte altre caratteristiche dell’una si sono fuse con l’altra o semplicemente hanno trovate un equilibrio per una convivenza pacifica. Quindi il cristianesimo non ha sostituito le credenze indigene, bensì il primo è stato integrato nelle seconde, nel modo che più si confaceva alla credenza originale, senza quindi mai deviarne la natura o l’anima.
Ma come ci è arrivato il cristianesimo a Taiwan, e come è riuscito a influenzare tanto i suoi antichi abitanti? Vediamo i punti salienti di questo influsso che va avanti da secoli:

  • La prima volta che il cristianesimo approdò sull’isola fu nel XVII° secolo per mano dei colonizzatori olandesi protestanti, il cui scopo principale era quello di scambio e commercio, e degli spagnoli cattolici situati al Nord di Taiwan. Il lavoro missionario di quest’ultimi però non fece presa allo stesso modo di quello olandese e attecchì molto meno. Comunque, la presenza dei missionari occidentali sull’isola spiega come mai ancora oggi l’alfabeto utilizzato dalla maggior parte dei gruppi indigeni di Taiwan sia quello romano: al fine di facilitare la diffusione della Bibbia, si utilizzò il nostro sistema alfabetico per tradurre il testo sacro e per traslitterare la loro lingua. In più gli venne insegnato a costruire un loro sistema di scrittura (basato sul nostro modello) e a leggere.
  • Quando nel 1661 Koxinga, un ufficiale cinese, sostenitore dei Ming durante la resistenza alla conquista della Cina da parte dei Qing, sconfisse gli olandesi (gli spagnoli se n’erano già andati a quel tempo) e prese il controllo dell’isola, ogni forma di cristianesimo fu estirpata: i missionari furono perseguitati e le chiese distrutte.
  • Nel 1685 la dinastia Qing annetté al suo impero Taiwan. Passati un paio di secoli (per la precisione negli anni Sessanta dell’Ottocento), la dinastia Qing firmò il trattato di Tianjin con la Gran Bretagna: suddetto accordo apriva svariati porti al commercio estero e riabilitava l’entrata nel paese dei missionari cristiani, così Taiwan si trovò di nuovo sotto la loro influenza.
  • Alla fine della prima guerra sino-giapponese nel 1895, Taiwan fu ceduta al Giappone: all’epoca il loro controllo sulle religioni e credenze altrui non era per nulla opprimente, pertanto lasciarono totale libertà nel territorio taiwanese.
  • Le cose cambiarono radicalmente negli anni trenta del Novecento con lo stravolgimento della situazione internazionale che si stava man mano delineando: di lì a pochi anni sarebbe scoppiata la seconda guerra mondiale. Allo scopo di avere maggiore controllo sui paesi da loro occupati e di unificarli tutti sotto un’unica e salda visione per poi utilizzarne le risorse umane e di materiali, il governo intensificò sempre di più il così noto “Kominka Movement”, ossia il processo di giapponesizzazione delle altre culture. Anche per questo la visione nipponica imperialista era interpretata e promossa come una vera e propria religione a cui tutti, inclusi i paesi da loro occupati, dovevano sottostare: ciò comportò l’annichilimento di ogni altra forma religiosa e la costruzione dei loro templi in ogni dove. Così anche a Taiwan i popoli indigeni e non (che ormai abitavano da secoli l’isola), videro spazzate via il loro sistema tradizionale religioso e le loro credenze, cosa che li portò a una perdita netta e drammatica della loro fede.
  • Alla fine della seconda guerra mondiale, Taiwan (così come tutte le altre nazioni o luoghi occupati dal Giappone) venne liberata dagli Alleati. Emancipati oramai dalla morsa nipponica che li aveva costretti alla cancellazione delle proprie credenze religiose e con l’entrata nel paese dei missionari stranieri, il cristianesimo ricominciò a espandersi sul territorio. Oltretutto, dato che molti dei rifornimenti essenziali e delle risorse (anche mediche) venivano dalla Chiesa, il legame tra i già convertiti e il cristianesimo si rafforzò ulteriormente e nei decenni appena successivi (anni ’50 e ’60) si vide un drastico aumento dei convertiti tra gli indigeni dell’isola. Da questo momento in poi il cristianesimo ha continuato a influenzare le culture indigene, senza mai però sovrascriverle.

    Piccola curiosità: furono i portoghesi, intorno al XVI° secolo, a dare a Taiwan il noto nome di “Formosa”, per via della bellezza delle sue coste.

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L’opera avvia la narrazione poco prima di un evento che cambierà per sempre le sorti del pianeta e dell’uomo, quello dell’ultima pioggia, che rappresenterebbe il momento in cui Kakarayan avrebbe deciso di punire l’uomo per le pessime condizioni in cui ha ridotto il pianeta, sottraendogli tutte le sue benedizioni in terra, i kawas, per farle tornare a Pinokayan, la loro casa, che altro non è che il paradiso.
Il protagonista della serie è proprio un kawas dal nome ‘Orad (Dio della pioggia, interpretato da Fu Meng Bo) che è stato prescelto da Kakarayan come suo messaggero e come sua connessione terrestre con i kawas stessi. Inoltre è anche l’angelo custode della protagonista, Hsie Tien-di (ragazza appartenente al popolo amis, interpretata da Joanne Tseng), da quando era bambina, senza che lei però ne sia cosciente.
Proprio nella notte dell’ultima pioggia, in cui Kakarayan di fatto sta rinunciando all’uomo, abbandonandolo a sé stesso e destinandolo all’estinzione per carestia e siccità, la nostra protagonista dovrebbe morire a causa di un incidente stradale.
Cosa accadrà a Hsie Tien-di, al genere umano e alla Terra?

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Sebbene questo drama abbia molti elementi che lo farebbero rientrare nel sottogenere fantasy chiamato romance soprannaturale, data la storia d’amore tra un essere immortale (o semi) e un’umana, tipo “Goblin”, Tale of the Nine-taled, Doom at Your Service, My Roommate Is a Gumiho(e tanti altri), basta soffermarsi su tutto il resto che compone l’opera per capire che ci si avvicina di più al fantasy urbano.

Ma qual è la differenza tra i due? In realtà possono anche avere lo stesso contesto moderno, ma il punto decisivo è il ruolo dell’ambientazione stessa. Mentre nel romance soprannaturale il fulcro è proprio la storia d’amore e il contesto è solo una localizzazione temporale che al massimo potrebbe essere funzionale al porre maggiori ostacoli nel rapporto che si viene creando, nel fantasy urbano l’ambientazione non fa solo da involucro alla storia, o da contestualizzazione temporale, bensì è parte integrante del tutto: è ciò su cui i personaggi costruiscono i loro pensieri e le loro credenze, è un soggetto strutturale e formante della trama, e non ultimo, prende forma come se fosse un vero e proprio personaggio.

Nel caso di “Rainless Love in a Godless Land”, come da esempio nella foto sopra, la scenografia mette spesso in risalto i luoghi, scelti minuziosamente in funzione di una comunicazione visiva più efficace possibile: girare una scena in un posto i cui muri sono strapieni di murales (i quali sono visti come forma di comunicazione alternativa o d’arte, sicuramente, ma anche come puro vandalismo), oppure mostrare strade, corsi d’acqua, e cassonetti invasi completamente dai rifiuti (soprattutto di plastica), è mirato proprio a dare visibilità all’attuale situazione in cui molte città del mondo si trovano a causa dell’inquinamento per mano dell’uomo.

Dato che dall’incipit della trama è chiaro che Dio stia abbandonando l’uomo per come esso ha maltrattato la Terra e le risorse messegli a disposizione, in questo caso il contesto urbano descritto, come dicevo sopra, è atto a evidenziare il livello di degrado causato dall’urbanizzazione stessa e a rendere immediatamente chiaro il messaggio ambientalista che seguirà per tutta la serie. Il primo episodio inizia proprio con scene che mostrano l’inquinamento provocato dall’uomo: plastica ovunque, rifiuti accumulati, ecc.
La sensazione di disagio provocata da queste immagini è dato anche dal fatto che si crea un forte contrasto tra l’introduzione (di cui parleremo nel paragrafo successivo), in cui viene detto che tutto ciò che ci circonda è un dono prezioso, persino le cose inanimate, e il vedere subito dopo la devastazione creata dall’uomo, figlia di una totale assenza di cura o riguardo.

Tra l’altro questa situazione di precarietà in cui versa la Terra, e il fatto che Kakarayan stia abbandonando il genere umano, crea un’atmosfera apocalittica che si va intensificando man mano, come se in ogni momento si sentissero le lancette che scorrono verso una fine inesorabile e ormai irreversibile. A questo si aggiunge anche un panorama post-apocalittico, perché ci sono delle scene in cui ‘Orad mostra a Tien-di un futuro molto prossimo (pochi anni in avanti), il cui scenario è un distesa desertica desolante con rifiuti sparsi qua e là, che senza dubbio, a differenza della razza umana e di qualsiasi altra forma di vita, non avrà problemi a resistere e sopravvivere al cambiamento climatico anche nei i secoli a venire.

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Come vengono inseriti il folklore e le credenze amis all’interno del drama e di questo contesto fantasy urbano che ha come fulcro la polluzione? Tramite brevi introduzioni all’inizio di ogni episodio, che catapultano lo spettatore in racconti dal tocco fiabesco, ogni volta viene narrata una storia in stile mitologico, basata sul credo degli amis. Ma la particolarità è che il tutto è messo in scena tramite una suggestiva animazione in 2D e utilizzando la loro lingua. D’altronde cosa c’è di più rappresentativo per affermare l’identità di un popolo, se non la lingua da esso utilizzata, soprattutto se è l’unico a usarla?
Episodio dopo episodio ci si accorgerà di quanto questi racconti non siano fini a loro stessi, bensì facciano da spiegazione a ciò che si vedrà o che si è visto nella serie, creando dei perfetti parallelismi, tanto da diventare quasi indispensabili per comprendere appieno la storia nel suo totale e anche la caratterizzazione dei personaggi (anch’essi ispirati alle leggende o che ne ricalcano le fattezze).

Lascio un esempio visivo dell’introduzione del primo episodio, con tutta la parte testuale. Essendo all’inizio, è privo di spoiler, fa giusto da presentazione generale. Anzi, spiega brevemente ciò che è stato già approfondito nei paragrafi sopra, cioè l’essenza dell’animismo mescolato al cristianesimo.

“Tanto tempo fa, c’era un creatore onnipotente.
In un mondo di nulla, egli creò un pezzo di terra
secondo la bella immagine che aveva visto nel suo sogno.
Con ciò, egli dotò la terra di vita, volontà e regole.
Tutto nel mondo, compresi noi, fu creato da lui.
Così le montagne, le piante, l’aria, i minerali
e la terra sono diventati nostri genitori.
E gli uccelli, bestie, pesci e gli insetti sono diventati nostri fratelli.
Queste benedizioni, sotto la Sua disposizione,
ci hanno protetto per generazioni.
Noi li chiamiamo kawas o spiriti.”

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Nonostante fossi già consapevole della maestria dello sceneggiatore, ho trovato comunque incredibile come sia riuscito a districarsi così abilmente in argomenti tanto complessi sul piano concettuale e filosofico: si spazia dal ruolo e dal significato di dio, alla sua volontà, passando per il libero arbitrio, la predestinazione, il senso della vita e della morte, l’importanza e il ruolo della memoria e dei ricordi, e ancora la forza distruttiva dell’uomo e il suo ruolo sulla terra, per arrivare infine al significato stesso dell’ambientalismo.
In egual modo è riuscito a dare una solida base pragmatica alla trama, e a dare consistenza e spessore ai personaggi, evitando di renderli solo concettuali o metaforici. Senza dimenticare che tutti gli elementi convergono in un unico punto comune anche se all’inizio sembrano non essere molto collegati, e che come fulcro trainante del tutto c’è una profonda storia d’amore, molto originale e per nulla prevedibile.
Insomma, laddove altri sceneggiatori avrebbero potuto fare un pastrocchio di proporzioni bibliche, Chi Feng Chien ha compiuto un (altro) miracolo dramoso.

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La cosa che mi ha attratta tantissimo fin da subito è stato il titolo: l’ho trovato estremamente poetico e al contempo misterioso, non capivo bene dove volesse andare a parare. Quando poi ho letto che la serie aveva a che fare con il folklore indigeno di Taiwan, argomento di cui non sapevo davvero nulla, la curiosità è cresciuta a dismisura e senza pensarci ulteriormente ho deciso di guardarlo.
Anche se di solito controllo prima il cast di un drama che mi accingo a vedere, in questo caso mi aveva talmente interessata la trama, che l’ho iniziato senza dar peso a quali attori ci fossero. Solo dopo ho notato che c’erano degli attori in comune con “Someday or One Day” e “Attention, Love!”: per il primo, sto parlando di Alice Ke e Kenny Yen, che in “Rainless Love…” sono personaggi secondari, e Greg Hsu che invece fa una piccolissima parte, mentre per il secondo abbiamo Joanne Tseng, protagonista in entrambe le serie, Kuo Shu Yao, Hsu Yi Fan, Charolyn Chen in parti minori, ed infine Prince Chiu, che fa giusto una comparsata.

Tra l’altro, per chi come me è anche appassionato di BL (Boys Love) e di opere a tema LGBT+, troverà anche delle piacevolissime soprese in questo senso: in ruoli ospiti faranno capolino Edward Chen, protagonista del bellissimo film taiwanese LGBT+ “Your Name Engraved Herein“, Sam Lin, protagonista del BL taiwanese “We Best Love” (prima e seconda stagione), Aaron Lai, protagonista del BL taiwanese “Be Loved in House: I Do“, e Zach Lu, protagonista del BL taiwanese “HIstory2: Crossing the Line“, tutte e tre serie validissime e che consiglio vivamente. Infine troviamo anche tre attori in comune con la serie BL taiwanese “The Only One“, cioè il già nominato Kenny Yen, che in “Rainless Love…” fa il Dio della Saggezza e, in un ruolo minore, l’eterna ragazzina Pipi Yao, che in entrambe le serie interpreta in maniera pienamente credibile una studentessa delle superiori, nonostante i suoi 34 anni. La terza invece è Mimi Shao, che in “Rainless Love…” fa delle comparsate in un paio di episodi.

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In ultimo, ma non per importanza, ci tengo a sottolineare la bellezza di molti brani dell’ost, in particolar modo quello della sigla di chiusura, che è il mio preferito: il pezzo, “Never Ending Rain” (qui la traduzione in italiano), è di Shi Shi, già autrice di pezzi di altri drama, tra cui anche “Someday or One Day” e Behind Your Smile. Ma non solo questo, anche il pezzo di Astro Bunny, “Be Yours” (qui la traduzione in italiano), che ha il ritornello cantato in amis, è molto suggestivo ed evocativo.

SIGLA DI CHIUSURA:

Questo è il video della sigla di chiusura: l’ho voluto mettere in evidenza, perché lo trovo estremamente bello e significativo, soprattutto una volta che si è vista la serie, perché solo allora lo si comprenderà appieno, in particolare per ciò che riguarda i personaggi e i loro legami. Tuttavia una cosa appare chiara sin dall’inizio: anche nelle sue sigle (in questo, anche quella di apertura è simile, ma la trovo meno particolare nell’esposizione e nell’esecuzione) il drama vuole mettere sotto i riflettori il contesto urbano e il messaggio ambientalista. Utilizzare come ambientazione uno sfasciacarrozze, con scheletri di auto ammassati come cadaveri e pezzi di ricambio sparsi in ogni dove, e poi creare un percorso all’interno di queste montagne di rottami, è un po’ come mettere in atto un parallelismo con il genere umano che si crea una strada ancora percorribile in mezzo a un mondo che sta rendendo invivibile, innanzitutto per sé stesso.

Curiosità: la cantautrice Shi Shi fa una comparsa nel drama negli episodi 7 e 9, mentre canta proprio “Never Ending Rain”.

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FONTI

Oltre ai link ipertestuali che si trovano nel corpo dell’articolo, segnalo che per le ricerche ho attinto dai siti “Indigenous Sight“, “La casa della Bibbia“, “Council of Indigenous People“, “Folklore.Earth“, dal sito governativo di Taiwan, da pubblicazioni degli utenti su My Drama List (link ai singoli articoli qui e qui), e infine da Wikipedia (italiana, inglese e coreana).

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