“Un ponte tra noi. Morgana e i mille mondi”: un tuffo nel fantastico mondo della diversità

Quando si alimenta l’animo con la volontà di comprendere chi e cosa ci circonda, quando si è disposti a scavalcare i muri mentali e sociali e a camminare oltre, allora scopriamo che il mondo non è rotondo, è semplicemente infinito. Come in un circolo vizioso, è da lì che l’arte nasce e trova la sua linfa, e allo stesso tempo è dall’arte che questo mondo cresce inarrestabile, interpretato dalla fantasia di cui è composto.

In questo spazio senza orizzonti, né confini, né limiti, si trovano le storie come “Un ponte tra noi”, lezioni di vita che non hanno età: un racconto dal linguaggio semplice e diretto, una storia dai toni delicati e vivaci allo stesso tempo, che emoziona e insegna senza retorica e senza edulcorare la realtà, mostrando le cose per quelle che sono, non rinunciando alla leggerezza e alla spensieratezza.

Storia e personaggi

Il racconto, nato dall’abile penna di Maria De Riggi, ci viene narrato da Morgana, una ragazzina affetta da nanismo e che per questo ha dovuto affrontare svariate difficoltà nella vita, alimentando insicurezze, paure, dubbi. Nonostante ciò, il suo più grande desiderio non è chiudersi in se stessa per via delle brutte esperienze, ma al contrario, riuscire a farsi almeno un amico nella nuova scuola.

La vediamo affrontare il primo giorno delle medie con la testa piena di pensieri, ma il sipario che le si aprirà quando la sua nuova classe sarà al completo, non sarà esattamente quello che si aspettava.
Farà la conoscenza di 11 ragazzini, ognuno dei quali possiede una di quelle diversità che potrebbe facilmente finire nel mirino di prese in giro, o ancora peggio, del bullismo: da Delfina che è sovrappeso, a Leonardo che è particolarmente alto per la sua età, a Massimiliano che è affetto da autismo, ad Amalia che è affetta da progeria.
Poi ci sono Akin che è nigeriano e Lin Li che è cinese. E ancora Bianca che, quasi come per voler venir meno al suo nome, si veste tutta di nero, poi Paolo ed Ester, due gemelli dai capelli rossi e il viso lentigginoso, e Rocco con il viso coperto da brufoli. Infine c’è Carisma, ragazza piccolina quanto Morgana, dalle pelle chiarissima, capelli bianchi e molto lunghi.
Sarà lei, la ragazzina che dice di provenire da un altro mondo, che li farà immergere in un’esperienza tanto piena di meraviglie, quanto di cose fastidiose e inquietanti. Ma dove saranno finiti davvero questi ragazzi? E perché Carisma li ha portati proprio lì?

Gli strati del romanzo

“Un ponte tra noi” è senza dubbio una storia stratificata nei significati: in prima linea, quella che risulta più chiara e palese alla fine della lettura, si cerca di far luce sull’autismo e di far crollare i pregiudizi o le leggende metropolitane che si sanno a riguardo (e su questo punto non mi ci soffermo nemmeno, perché il romanzo lo fa vivere e comprendere molto vividamente).

Appena al di sotto troviamo il concetto di comunicazione e la sua rilevanza: tra un Luna park in bianco e nero, esplosioni improvvise di colori che accecano e di rumori assordanti, soffioni giganti che ti stritolano nel loro abbraccio, una casetta che viaggia sopra una nuvola, quello che impareranno i ragazzi sarà che ognuno parla una lingua diversa, nel senso che ognuno ha un suo modo di esprimersi a parole e con il corpo, un suo modo di pensare, e che il dialogo non consiste nel parlarsi, ma nel voler davvero comprendere ciò che l’altro ci sta comunicando.

In tal senso, vorrei prendere in prestito una citazione da un bellissimo film coreano che ho visto poco tempo fa, “Innocent Witness”, in cui la protagonista è una ragazzina affetta dalla sindrome di Asperger. Destino vuole che lei sia l’unica testimone di un omicidio, e il film ruota attorno alla validità o meno della sua testimonianza, in quanto persona affetta da questa sindrome. L’avvocato della difesa, contro i suoi interessi, e dopo aver conosciuto meglio la ragazzina, si rivolge alla giuria con queste parole: “La ragione della nostra confusione finora è stata che non avevamo compreso la testimone. Anzi, non volevamo comprenderla. Pregiudizio: sfortunatamente avevo anch’io dei pregiudizi nei confronti di Ji-Woo. Credevo che fossimo diversi. Non mi fidavo di lei, e ho visto solo quello che volevo vedere, perché ho pensato solo a me stesso. Ma la testimone era differente. Nonostante il forte pregiudizio a cui era soggetta, ha scelto di dare la sua testimonianza di nuovo, allo scopo di dire la verità. Nella mia carriera di avvocato, non ho mai visto un testimone che ha dato una testimonianza precisa quanto la sua. Ha detto solo la verità sin dall’inizio. Siamo stati noi a non saper come comunicare con lei.”

Ancora sotto c’è un’analisi centellinata e precisa del concetto stesso di “diversità”.
Alla fine, cosa significa essere diversi? Ci sono livelli di diversità? Per quanto piccole siano le differenze che ci distinguono, nessun essere umano è uguale a un altro, siamo tutti “diversi”. Quindi si dovrebbe presupporre che ci sia un limite intrinseco al concetto di diversità, oltre il quale non si è più “diversi” ma inferiori?
È qui che, a passo di magia, ci viene mostrato che ciò che si potrebbe definire un deficit per un aspetto, potrebbe essere una forza per un altro. Ciò che manca a un altro, io ce l’ho, ma ciò che manca a me, ce l’ha qualcun altro: siamo tutti deficitari e tutti beneficiari di qualcosa. Questo ci rende come pezzi di un puzzle, per cui ognuno è indispensabile all’altro per completare il quadro e non lasciare buchi. Questo ci rende complementari.
Ma mettiamo il caso che una tessera di un puzzle notasse solamente il fatto che le altre tessere sono diverse da lui e per questo le allontanasse perché crede che il suo aspetto è il solo ad essere “giusto”, senza rendersi conto che senza di essi anche lui sarebbe un’inutile tessera che non vuol dire nulla di per sé: così si creerebbe lo scenario della discriminazione, in base a un pregiudizio e a una visione parziale della realtà.
È importante però sottolineare come questo atteggiamento farebbe del male a noi per primi, perché ci impedirebbe di utilizzare il nostro potenziale, sfruttabile solo in connessione con gli altri.

La diversità è sempre una ricchezza inestimabile per ognuno di noi, dobbiamo imparare ad accoglierla a braccia aperte.

Il mondo visto con gli occhi dell’infanzia

In ogni racconto per bambini o per ragazzi c’è una magia che mi attrae, ed è la magia della semplicità: quel parlare diretto, quel comprendere cose che crescendo si dimenticano o passano in secondo piano, quel riuscire ad assaporare la bellezza delle piccole cose e a stupirsene perché le si scopre per la prima volta, o perché ci fanno stare bene e quindi le viviamo senza farci problemi, ma più di tutto il cercare continuamente un contatto con l’esterno o uno stimolo da esso.

Quegli anni in cui si avvertono i propri sentimenti a 360 gradi, li si abbraccia anche quando non li si comprende del tutto e per riuscire a dargli un senso si cercano le risposte al di fuori di noi stessi. Anni in cui ancora si deve conoscere il mondo, quindi si è curiosi, lo si studia, lo si analizza, e nel frattempo si impara a conoscere il proprio essere. Questo perché c’è la volontà di protrarsi verso il mondo e di espandere se stessi al di fuori del proprio piccolo corpo: si ha la voglia di arrivare dappertutto per capirne le dinamiche.

Tutto ciò permette una comprensione scarnificata nella sua essenza, una comprensione che arriva al nocciolo, non solo sul piano della comunicazione verbale e/o fisica, ma anche di cose che vanno al di là, come la comprensione delle sensazioni, dell’istinto, che ancora non sono frenati in alcun modo dalle rigide regole della società, perché tutto viene vissuto “qui” e “ora” ed è quello il momento più importante: il vivere il momento presente è una della prime esperienze che l’adulto dimentica completamente, tra ricordi e rimorsi del passato e preoccupazioni per il futuro.

I piccoli adulti

I bambini che convivono con delle malattie rare o con aspetti fisici che gli altri possono percepire come difetti (quindi anche un diverso colore della pelle), vengono in qualche modo catapultati, fin dalla tenera età, in un mondo più adulto che in realtà non gli apparterrebbe, un mondo in cui penetrano quelle difficoltà e quelle complessità del vivere quotidiano che solitamente un bambino non si troverebbe ad affrontare, e tuttavia non si hanno ancora gli strumenti emotivi e psicologici per assorbirli e metabolizzarli al meglio.

Ognuno di questi bambini rischia di ritrovarsi in qualche modo bloccato nel proprio mondo per paura di non venire accettato dagli altri.
Ciò di cui avrebbero bisogno è di vivere la propria età, presumibilmente fatta di spensieratezza, di emozioni dirette e non ragionate, non colme di complessi e paure, non frenate dal mondo che li circonda, proprio come dicevo poc’anzi.
Ciò che li “salva” è quell’istinto “infantile” che, nonostante le paure, gli fa ancora desiderare di avere a che fare con gli altri, gli fa ancora sperare che ci sia qualcuno che li accetterà per quello che sono, esattamente come accade ai personaggi di questa piccola perla di romanzo.

Per concludere

Posso dire che come ogni romanzo per ragazzi o bambini, è ovvio che “Un ponte tra noi” sia una lettura adatta a loro, che gli possa fungere da insegnamento tramite un’avventura interessante, mai banale e di certo mai noiosa, tuttavia credo che sia altrettanto adatta agli adulti, per tornare a ricordare cose che si sono dimenticate, per tornare ad assaporare i sentimenti puri che la vita quotidiana ti suggerisce continuamente di mettere da parte.

Si ha sempre bisogno della nostra parte bambina, infantile, esattamente come di quella più consapevole e razionale, perché in ogni cosa ci deve essere equilibrio.

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