“Fence”: perché vederlo?

Fence è una mini serie giapponese del 2023, composta da 5 episodi di circa 55 minuti l’uno. I suoi generi sono thriller, mistero, psicologico e drammatico. Per la visione con i sottotitoli in italiano, al momento (purtroppo) non è disponibile su nessuna piattaforma ufficiale.

TRAMA: Kie Komatsu (interpretata da Mayu Matsuoka) fa la scrittrice per una rivista a Tokyo. La serie inizia quando la ragazza viene mandata dal suo superiore sull’isola di Okinawa per indagare su un caso di stupro avvenuto per mano di un militare statunitense. L’altra protagonista della storia è Sakura Omine (interpretata da Ariana Miyamoto), la ragazza vittima dell’aggressione. Quest’ultima è una ragazza (così definita) mista, in quanto figlia di una giapponese e di un afroamericano.

1) La durata: se siete appesantiti dalle visioni più classiche composte da 10, 16, 20 episodi, o anche più, che purtroppo spesso peccano di poca scorrevolezza, questa mini serie è sicuramente perfetta. Nei suoi “soli” 5 episodi ha avuto talmente tanto da dire che è quasi incredibile pensare a come sia riuscita a farlo tanto bene avendo relativamente poco tempo per esporre tutti i concetti e i messaggi che voleva veicolare. Ciò ha portato a un dinamismo narrativo che ha reso fluidissima la fruizione della serie, visibile tranquillamente anche in una sola giornata.

2) Una storia quasi interamente al femminile: non sono molti i drama che risaltano i personaggi femminili e le problematiche legate unicamente all’essere donna (culturalmente e fisicamente parlando) e che ne fanno il loro fulcro principale. Le due protagoniste sono due personaggi davvero solidi e ben delineati, con caratteri e background molto realistici. Anche il loro rapporto si sviluppa nel modo più credibile e naturale possibile, data la situazione e il contesto. Ma non solo loro due, anche altri personaggi importanti per la storia sono donne, come ad esempio la ragazza che vive con Sakura al locale di cui è proprietaria, o la nonna di Sakura, che fa da testimone (in quanto sopravvissuta) agli eventi tragici del passato, rappresentando così il valore della memoria storica.

3) L‘ambientazione: su questo aspetto c’è tanto da dire, perché la singolare situazione di Okinawa rispetto al resto del Giappone, offre in effetti molti spunti interessanti. Il complesso e a volte precario equilibrio tra la popolazione di Okinawa e gli statunitensi stazionati nelle varie basi militari americane in loco (situazione che persiste sin dalla fine della seconda guerra mondiale), porta con sé inevitabilmente tante questioni sociali rilevanti.
Ma non solo questo, perché Okinawa offre dei panorami davvero mozzafiato, come potete vedere anche dall’immagine di copertina, per cui se volete rifarvi gli occhi e godere di paesaggi diversi dalla maggior parte delle serie giapponesi, questo drama è perfetto. E in ultimo, regala delle differenze (anche linguistiche) rispetto al Giappone dell’entroterra, essendo da esso fisicamente distaccato e spesso anche culturalmente tenuto a debita distanza nel corso dei decenni passati.

4) E’ rarissimo, nelle serie asiatiche, vedere protagonisti di etnia mista: il drama da spazio e voce a una realtà messa totalmente in ombra, ma che invece è ben presente e viva anche in quella parte di mondo, soprattutto nei paesi o in regioni di paesi direttamente coinvolti in dinamiche politiche e diplomatiche con paesi occidentali (come appunto Okinawa).

5) Tematiche importanti: la quantità di temi su cui viene puntata l’attenzione sono veramente tanti, e nonostante ci sia relativamente poco tempo per riuscire ad approfondirli tutti, alla fine della visione non c’è assolutamente la sensazione di incompletezza, perché tutto ciò che viene affrontato è funzionale alla storia e viene sviscerato quel tanto che basta per far arrivare chiaramente i messaggi e per rendere la storia ben amalgamata nella sua multi tematicità.
Questo drama è un abilissimo intreccio di eventi e di temi sia intimi, sia sociali: si passa dalla violenza sessuale, al razzismo, dalla tragicità della guerra, al maschilismo, dalla multiculturalità, all’ accettazione di sé stessi e al superamento dei propri traumi infantili, dall’ambientalismo e dall’attivismo a esso legato, al rapporto con i propri genitori, anche come chiave di una profonda analisi del proprio essere e delle proprie origini, dal rapporto tra donna, sesso e società, all’etica del giornalismo. Come capirete, è un drama ricco d’introspezione e di riflessioni non solo interessanti e peculiari, ma anche essenziali.

6) Tecnicamente impeccabile: ci troviamo difronte a un’opera di qualità davvero elevata, che tiene fede agli standard cinematografici, più che a quelli seriali. E’ vero che non sempre si ricerca tale elevatura, e una serie può essere comunque bellissima pur avendo una qualità tecnica nella media, però è senz’altro vero che quando la fotografia e la regia si fanno notare come in questo caso, l’impatto sul prodotto finito è indiscutibile.

7) La storia di Okinawa: onestamente prima di vedere quest’opera non ne sapevo nulla della triste destino toccato ad Okinawa (sia in passata, sia attualmente), ma non è che vedendola mi sia stupita particolarmente, perché dopo più di dieci anni che mi sono avvicinata al Giappone, so bene di cosa siano stati capaci e di che tipo di mentalità ci sia tutt’oggi nel paese. So quanto siano chiusi alla diversità, di quanto temano qualsiasi “invasione” dall’esterno, di quanto la loro cultura sia ancora fortemente ancorata ai precetti di un passato patriarcale e incentrato sull’onore (il che porta all’omertà estrema). E questo mi porta all’ottavo e ultimo punto.

8) L’ottica inaspettata: come già accennato sopra, si sa che i giapponesi in generale siano alquanto xenofobi, ma in realtà questa serie non punta tanto il dito sulle problematiche create dagli americani, quanto piuttosto su quelle create dalla mala gestione da parte del governo giapponese degli accordi con gli Stati Uniti. Insomma, se c’è una cosa che emerge limpida e cristallina è la forte denuncia nei confronti del proprio governo che, a quanto pare, ha da sempre trattato Okinawa come se fosse l’ultima ruota del carro, spesso non considerandola del tutto giapponese. Una regione del paese che è stata utilizzata come merce di scambio, le cui orribili vicende sono state offuscate nella memoria collettiva per comodità.
Per questo il drama ci tiene a lasciare un importante messaggio, che riguarda sì per il Giappone in questo caso, ma che in realtà ha valenza universale: arriva un momento per ogni paese in cui diventa necessario prendersi le proprie responsabilità e fare ammenda per gli errori commessi, non solo per chiedere scusa a chi ne è rimasto vittima, ma anche per far capire al proprio popolo che le istituzioni sono presenti e non hanno lasciato indietro nessuno, e che ogni cittadino è ugualmente importante. Purtroppo il fatto che diventi necessario, non vuol dire che ciò accada, ed è questa la denuncia, anche piuttosto diretta, del drama.

In conclusione, se cercate qualcosa di leggero e frugale, “Fence” non è sicuramente adatto. Al contrario, se cercate qualcosa di impegnato e che vi arricchisca, non vi pentirete sicuramente di averlo visto.

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