“Learning to Love“ è una serie giapponese del 2025, composta da 11 episodi di circa 50 minuti l’uno. I suoi generi sono drammatico e romantico, ed è disponibile su Netflix con i sottotitoli in italiano.
TRAMA: Manami Ogawa (interpretata da Fumino Kimura) fa l’insegnante in una scuola privata femminile, mentre Kaoru (interpretato da Raul Maito Murakami) fa l’host in un club notturno. Lei è una donna cresciuta in una famiglia molto rigida, soprattutto per via delle restrizioni del padre che l’ha sempre costretta a seguire la strada da lui scelta. Per questo il suo è un carattere serio, chiuso, insicuro e intransigente, ma sotto sotto è anche estremamente sensibile e premurosa. Lui è un ragazzo all’apprenza molto sfacciato e sicuro di sé, ma nasconde molte fragilità. Appena ventenne, si ritrova a fare l’host perché sì, senza dubbio lo alletta il fatto che sia un lavoro tanto remunerativo, ma anche perché non vede nessun’altra possibilità nel suo futuro, non sapendo né leggere né scrivere, e avendo una madre che lo ha sempre trascurato e che a oggi gli chiede costantemente soldi.
Quando Manami si rende conto che Kaoru non sa né leggere né scrivere, gli propone di insegnarglielo, con iniziale stupore di lui, che comunque alla fine accetterà.
Cosa può accadere quando due personalità completamente agli antipodi si incontrano? Quando due mondi che non dovrebbero nemmeno sfiorarsi, collidono e si scontrano, quale reazione si scatena in loro e in coloro che gli sono vicini?
11 ragioni per vederlo

1) Originalità: non è di sicuro così insolito incappare in storie d’amore in cui ci sia una grande differenza d’età o in cui i due provengono da condizioni sociali agli antipodi, o dove siano presenti entrambi i presupposti, come in questo caso. Diciamo infatti che questo incipit è molto comune, quindi è chiaro che non è l’impostazione iniziale a rendere così tanto piacevolmente fuori dal coro “Learning to Love”. Tuttavia, come dico sempre, i cliché, se utilizzati bene, possono dar vita anche a grandi storie e a una narrazione insolita.
L’aspetto che secondo me rende al meglio questo aspetto è che “Learning to Love” racconta sì di una storia d’amore, ma non è il fine ultimo e assoluto della storia, perché l’imparare ad amare che suggerisce il titolo – learning to love significa proprio questo – è in primis quello verso sé stessi, oltre che quello verso gli altri.
Infatti la relazione che si crea man mano è del tutto funzionale alla loro crescita come singoli e alla loro maturazione all’interno delle dinamiche della società, o più in piccolo, della propria famiglia.
2) La caratterizzazione e l’evoluzione dei personaggi: sono pienamente realistici e ben delineati. Quanto più all’inizio si crea la frizione tra il mondo libertino che vive Kaoru, quello dei locali notturni fatto di luci al neon, e quello della vita diurna nella scuole, fatta di regole e rigidità, che vive Manami, tanto più si va sfumando il confine tra i due con lo scorrere degli episodi.
E come si perde il contrasto netto tra questi due mondi, lo si perde anche tra i due personaggi, che all’inizio sembrano distanti anni luce, ma che pian piano si amalgamano con un flusso spontaneo, come se fosse stato ovvio e normale dal principio.
Ma non parliamo solamente dei due protagonisti: anche gli altri personaggi sono ben inquadrabili da subito e anche a loro è riservato uno sviluppo interessante, non scontato e ben scritto. È questo che nel complesso dona all’opera un piacevole senso di completezza: quando in una storia non viene data importanza solamente ai protagonisti, ma si dà spazio anche al resto per farlo progredire, l’opera si solleva e si distingue dalla mediocrità.
3) Oltre all’approccio molto maturo e realistico, un altro fattore che mi ha piacevolmente colpito sono i temi affrontati, perché solo qui mi è capitato di vedere parlare in maniera più approfondita di disturbo dell’apprendimento e di amore ossessivo che sfocia nello stalking e di come, quindi, riuscire a gestire in maniera sana un rapporto romantico (attenzione, non vi è in alcun modo l’intenzione di romanticizzare la cosa, giacché è un reato; al contrario la si condanna, senza però far mancare una comprensione del perché si possa arrivare a tali comportamenti). Senza entrare nel merito della trama, perché nascerebbero spoiler per forza di cose, si può dire che comunque i due personaggi principali, e insieme a loro anche chi gli ruota attorno, subiranno un’evoluzione importante e decisiva: ciò sarà possibile grazie all’incontro dell’uno con l’altra e al cercare di comprendere non solo i propri punti di forza, ma soprattutto quelli che agli occhi della società sono visti solo come “difetti” da nascondere e di cui vergognarsi, e per questo diventano facile obbiettivo di pregiudizi (per lui, già il fatto stesso di essere un host è un grosso ostacolo all’essere considerato un ragazzo con un minimo di valore e potenziale).
4) La storia d’amore: come dicevo prima, la loro relazione – in cui non ci si fionda immediatamente, ma che si prende tutto il tempo per evolversi in modo del tutto naturale – è funzionale ai personaggi. Tuttavia questo non deve far pensare che sia un elemento secondario, tutt’altro: è che, essendo il racconto molto realistico in ogni sua componente, presenta un approccio particolarmente maturo e con i piedi ben saldi a terra, per cui risulterà che, com’è normale che sia, oltre il loro rapporto, i due protagonisti si troveranno ad affrontare anche altri aspetti importanti della loro vita . Decidere se stare insieme o meno non è l’unica determinante a definire i personaggi: carriera, famiglia, mancanze, lacune personali e altre problematiche troppo a lungo ignorate, saranno altri aspetti fondamentali.
Tra l’altro, insolitamente da quanto accade nella maggior parte delle storie con una differenza d’età elevata (qui si parla di 16/17 anni), l’aspetto dell’attrazione sessuale è relativamente accantonato, o perlomeno non risulta centrale nella crescita del sentimento e dell’intesa tra i due. Infatti, nonostante si parli senza remore di sesso e rapporti meramente fisici, dato anche il lavoro di host che fa il protagonista (lavoro in cui alla base c’è una mercificazione consapevole del proprio aspetto), l’amore che nasce tra Kaoru e Manami, forse proprio per rendere il contrasto dovuto, appare molto puro e incontaminato.
5) Fotografia e costumi: i toni caldi e pastellati donano un sorta di calore e umanità all’intera visione, e l’attenzione per l’abbigliamento dei personaggi permette un’immersione ancora maggiore, perché, anche se può sembrare un fattore più marginale, in questo caso, soprattutto se si tratta dei due protagonisti, il loro modo di vestirsi è parte integrante della loro caratterizzazione ed è fondamentale per identificarli immediatamente ancora prima che si riesca a percepire come sono davvero. D’altronde, anche nella realtà, l’abbigliamento può essere uno dei tanti mezzi con cui ci si esprime.
6) Credo sia piuttosto raro, guardando una serie, ricordarsi un episodio in particolare e anche che se ne ricordi il numero. Eppure in “Learning to Love” verrà praticamente naturale rimanere totalmente affascinati dall’episodio sei e valutarlo il più bello della serie: è come se rappresentasse proprio uno spartiacque emotivo e strutturale, dato che tra l’altro si colloca proprio a metà dell’opera (essendo 11 episodi totali). In parte questo ammaliamento è dovuto alla bellezza della regia e della fotografia (elemento di cui si parlava al punto appena sopra): in questo episodio sono talmente poetiche che sembra di guardare un film di altri tempi.
7) Tipo di narrazione e poetica: i tempi di evoluzione della storia e dei personaggi sono perfetti, non c’è nulla di lasciato al caso, nulla che sembri troppo frettoloso o che avvenga troppo tardi. Avendo la serie un approccio molto maturo, è stato un bene che anche riguardo il ritmo narrativo si sia rispettato questo approccio e che quindi gli eventi e le dinamiche siano avanzate a un ritmo naturale. Riguardo la poetica, per me qui siamo ai massimi livelli di quella nipponica, dove sono più i gesti, gli sguardi e le azioni a parlare, rispetto alle parole. Ancora una volta, i giapponesi hanno saputo utilizzare la complessità dell’essenziale e renderla assolutamente vincente.
8) Niente cringe e momenti imbarazzanti: proprio per i motivi spiegati sopra, è facilmente intuibile che non siano presenti assurdità, stranezze o esagerazioni. In un’opera così delicata, aggraziata, fine e acuta, avrebbero rischiato di rovinarla irrimediabilmente.
9) Belle le musiche: questo non è di certo un must per una serie, però è sicuro che quando ci sono dei bei brani a far parte della colonna sonora, diventano essi stessi parte della narrazione e smettono di fungere da mero accompagnamento. In questo caso sono almeno due i pezzi che mi sono rimasti impressi, cioè “My Castle” di Yugo Kanno e “Spiral” di Reini e Yura.
10) Cast azzeccatissimo: non conoscevo quasi nessuno del cast, a parte la protagonista già vista in un altro drama e l’attore che interpreta il padre di lei, un attore veterano che ha partecipato a moltissimi progetti, però devo dire che sono rimasta davvero colpita dalla bravura generale del cast e in particolar modo del protagonista, che incarna perfettamente il suo personaggio e riesce a far sì che si crei un’intima connessione con lo spettatore.
11) Finale realistico e in linea con la narrazione: nonostante la narrazione sia creata in modo tale da far percepire sempre un senso di ansia e insicurezza sul destino dei personaggi, non si può dire la stessa cosa del finale (per fortuna). Senza rivelare nulla, posso almeno dire che la storia si chiude in maniera coerente, chiara e lineare, senza lasciare nulla all’interpretazione o all’immaginazione. Permettetemi di dirlo: in mezzo a un mare di drama con finali precari, vederne qualcuno così limpido e inequivocabile fa uscire dalla visione pianamente soddisfatti.
In conclusione, se si cerca una storia di crescita personale, riscatto e seconde possibilità, con una storia d’amore ben sviluppata, credibile e profondamente romantica (senza essere smielata) questo drama non può rimanere per nulla al mondo un semplice titolo nella lista di serie da vedere, in mezzo a centinaia di altre.
