Mistero, suspense e adrenalina: drama thriller da non perdere – 3ª parte

Eccoci arrivati alla terza lista di thriller (per chi fosse interessato, qui l’accesso alla prima e qui alle seconda).

Dalle serie che si giocano il tutto per tutto sul cliffhanger (espediente che interrompe bruscamente la narrazione in corrispondenza di un colpo di scena o di un momento di forte suspense), a quelle che preferiscono un lavoro in sordina puntando molto su una tensione continua ma mai esagerata, il thriller è un genere che può facilmente risultare accattivante.
Personalmente parlando, è uno dei miei generi preferiti e ne ho visti davvero di tutti i tipi, per questo ho voluto fare una lista di quelli secondo me irrinunciabili, soprattutto se si è amanti del genere.

Note:
1) Avendone molti da consigliare, ho deciso di dividere la lista in più parti.
2) La lista non è una classifica, pertanto non sono in ordine di preferenza.

Through the Darkness” è un thriller poliziesco psicologico coreano di stampo noir del 2022. Si compone di 12 episodi di circa un’ora e dieci l’uno. È visibile su Viki con i sottotitoli in italiano.

INCIPIT: basato sulla web novel scritta da Ko Na-mu e Kwon Il-young, primo reale profiler della Corea del Sud, la storia si colloca alla fine degli anni Novanta, periodo in cui il paese sta vivendo momenti di terrore a causa di una serie di omicidi, tutti a opera dello stesso assassino. Come avvenuto nella realtà, l’obbiettivo del protagonista del drama, Song Ha-young, è quello di introdurre il sistema di profiling come metodo di investigazione nei casi di omicidi seriali, approccio fino a quel momento mai utilizzato in Corea del Sud (che a dirla tutta vedeva spesso arrancare i propri agenti di polizia con procedimenti poco ortodossi, tra violenza ed estorsione di confessioni fasulle).

Viene mostrato l’ostracismo contro il quale ha dovuto lottare per dare credito a questo metodo, proveniente dagli Stati Uniti, sicuramente non privo di rischi e ragionevoli dubbi: il detective infatti si servirà della collaborazione di svariati assassini seriali già arrestati per cercare di entrare il più possibile nella mente di questi criminali, con il pericolo però di venire inghiottito egli stesso dall’oscurità dei loro pensieri e delle loro personalità (da qui il titolo della serie, che tradotto letteralmente sta a significare “attraverso l’oscurità”, appunto).
Ma oltre l’ostracismo nei confronti di questa tecnica d’indagine e di questo modo di guardare all’investigazione, ne emerge un altro, che fa da specchio a una situazione presente anche in più larga scala: quello nei confronti delle donne che ricoprono ruoli di comando/potere. Infatti la detective protagonista è un personaggio dal carattere forte e deciso che deve tener testa a continui pregiudizi sul suo operato, in un ambiente fino a quel momento solamente maschile (aspetto non strano, dato che ci troviamo alla fine degli anni Novanta e che il paese è uscito da pochi anni dallo stato dittatoriale, per cui le dinamiche delle decadi precedenti sono ancora vive e pulsanti, e il maschilismo derivato da una società patriarcale è tra quelle).

Il realismo del racconto si evince anche dal fatto che i tanti casi seriali che vengono proposti sono tutti casi di cronaca davvero accaduti in Corea del Sud (lo specifico, perché alcuni sono talmente efferati che potrebbero risultare esagerati appositamente a scopo narrativo, ma non è così. D’altronde si parla, per la maggior parte dei casi, di individui con disturbi psicologici anche molto gravi). Come dicevo prima, il protagonista si avvale della collaborazione dei criminali, questo perché crede che intervistandoli e creando un archivio dei reati e dell’analisi delle loro personalità, si possa creare una base conoscitiva importante per indagini future.

Considero “Through the Darkness” uno dei thriller più tenebrosi e seducenti che abbia mia visto, tanto che ancora ricordo vividamente la sensazione provata durante e alla fine della visione.
Proprio come il protagonista, anche lo spettatore viene catapultato all’intero della psiche criminale, senza particolare spettacolarizzazione della stessa. Si rimane sempre su un piano molto realistico e credibile per i motivi sopra citati.
Veramente ottimo il cast: troviamo un Kim Nam Gil sempre pronto a interpretare qualsiasi ruolo, tanto che è ritenuto anche in patria uno dei loro attori più poliedrici, accompagnato da due co-protagonisti altrettanto abili, Jin Seon Kyu e Kim So Jin.

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Nobody Knows

Nobody Knows (conosciuto anche come “Victim in Me”) è una serie cinese del 2022, composto da 16 episodi di circa 45/50 minuti l’uno. È un mix vincente di molti generi: drammatico, thriller, mistero, coming of age e slice of life. È tratto dal romanzo omonimo di Zheng Zhi e adattato dallo stesso autore.

INCIPIT: la storia racconta l’amicizia fra tre compagni di scuola, Wang Di, Qin Li e Xue Jiao, uniti da un legame molto profondo, a cui si aggiungerà una ragazza, Huang Shu, appena trasferitasi da una scuola artistica. Quest’ultima porterà inevitabilmente dei cambiamenti all’interno del trio, tanto da far perdere l’equilibrio a dinamiche talmente radicate da sembrare intoccabili.

Un po’ come il web drama “The Bad Kids” (di cui potete leggerne una mia recensione approfondita qui), o anche il film “Better days” (anch’essi cinesi e che consiglio vivamente), “Nobody Knows” descrive una realtà che non si vorrebbe accettare, quella della decadenza e della mediocrità della vita e di come queste condizioni possano insudiciare i ragazzi in fase di crescita, di come li possano far deviare dai cammini che li avrebbero condotti alle vite a cui aspiravano, rubandogli ogni sogni, ogni desiderio, ogni speranza.

In tutti e tre i lavori si può leggere un’asprissima critica agli adulti, che (a volte senza nemmeno rendersene conto), trascinano i loro figli e quelli degli altri in situazioni più grandi di loro, che non sanno gestire, che non li dovrebbero nemmeno riguardare.

Nel caso specifico di “Nobody Knows“, mentre il filo conduttore del tutto è il legame tra i quattro ragazzi e l’impronta è nettamente slice of life, c’è la parte thriller che aleggia come un avvoltoio nei pressi di una preda, pronto a scendere in picchiata e a rubarla al suolo per cibarsene. Perché la sensazione che si ha guardando quest’opera è proprio di qualcosa di bello che sta per essere rovinato, di qualcosa di prezioso che sta per essere perso, come se si avvertisse, ogni minuto che passa, l’arrivo della sciagura imminente. E puntualmente, quella sciagura arriva, e lo fa con spietatezza.

Questa serie è un racconto di amicizia, quella genuina e sincera, quella che non si penserebbe mai di tradire, ma anche di miseria e povertà, quella economica al pari di quella morale (obbligata o voluta che sia), in cui può essere capitato a tutti di essersi impantanati.

La complessità della struttura, che viaggia continuamente avanti e indietro nel tempo, non permette distrazione allo spettatore, tuttavia l’attenzione della sceneggiatura anche ai più piccoli particolari fa strecciare tutti i nodi che si creano.
Anche la fotografia artistica che dà vita a veri e propri quadri e l’ambientazione spesso nevosa hanno contribuito a donare quella nostalgia poetica di cui è permeato il drama.
Persino le musiche sono bellissime, soprattutto la sigla d’apertura, un brano strumentale colmo anch’esso di malinconia, ma anche di buono sentimenti: il filmato ritrae i due protagonisti da piccolissimi, già amici per la pelle, ed esprime tutta la tenerezza e la genuinità racchiuse nel loro legame fraterno.

Un plauso va anche al cast, soprattutto ai quattro ragazzi protagonisti, che hanno dato vita a un’interpretazione poliedrica e stratificata, riuscendo a risultare credibili anche da studenti delle superiori, nonostante due di loro avessero già sui trent’anni.

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Mother

Mother è una serie giapponese del 2010, composta da 11 episodi di circa 45 minuti l’uno (tranne il primo episodio di 1 ora e 10), di genere drammatico, thriller.

INCIPIT: Nao Suzuhara, insegnante in una scuola elementare, si rende conto che una delle sue alunne, Rena Michiki, è vittima di continui abusi domestici. Nonostante inizialmente cerchi di farsi i fatti suoi (colpa del suo carattere molto remissivo e quasi anaffettivo), dopo essere stata testimone di un (ennesimo) grave abuso sulla piccola da parte della mamma e del compagno della mamma della stessa, Nao salva Rena da una situazione estrema, che avrebbe potuto condurla anche alla morte, e la rapisce. Da questo gesto guidato dal solo istinto, inizia la loro fuga verso una meta ignota, unite da un sentimento che si fa via via più profondo.

Trovo importante innanzitutto sottolineare che lo sceneggiatore di questa storia poeticamente dolorosa (ma alla fine piena di speranza) è Yuji Sakamoto, lo stesso del nuovo film capolavoro di Hirokazu Kore’eda, “Monster“. Ma non solo: ha scritto o adattato altre opere lo stesso bellissime, come lo storico (nel senso di molto famoso) “Tokyo Love Story“, il tormentato e psicologico “Soredemo, ikite yuuko“, il misterioso “Quartet” e tantissimi altri drama che ancora non ho visto ma che recuperò presto. Sicuramente è uno degli sceneggiatori di drama più famosi e importanti degli ultimi trent’anni in Giappone.

Come in molte altre sue opere, non ultimo “Monster“, anche in “Mother” si respira spesso un’aria di forte tensione, in questo caso dettata dalla situazione precaria in cui le due si trovano. Nonostante alcuni momenti di stabilità e di serenità, Nao e Rena si troveranno continuamente in fuga, in una corsa sempre più disperata.

Di “Mother” sono stati fatti ben sei remake: quello cinese, thailandese, francese, spagnolo, turco e il più famoso, quello coreano, con protagonista Lee Bo-young. Io non ho mai visto né quest’ultimo, né nessun’altro, e nonostante non sia contraria ai remake, in questo caso non credo avrò mai la curiosità di vedere altri adattamenti dell’opera. Perché? Perché ho trovato questa storia davvero perfetta: nei suoi 11 episodi è stato detto tanto di più di ciò che mi potevo aspettare, tuttavia ho avvertito che più di quello non poteva essere detto e non ce n’era nemmeno bisogno. Semplicemente (per modo di dire, perché non era scontato) arriva esattamente dove deve.

Come già si intuisce dall’incipit, l’opera apre la sua narrazione con un tema scottante e scomodo, quello dell’abuso domestico sui minori. In questo senso, la sua grandezza risiede nell’aver saputo toccare la questione con un’attenzione certosina al non cedere a facili banalità e generalità. Il luogo dove vuole arrivare la serie si trova al di là del pregiudizio sterile che viene dato senza conoscere il caso specifico, le persone coinvolte e le condizioni in cui si sono svolti i fatti.
Tuttavia il suo intento primario, come suggerisce il titolo, è quello di sviscerare con ogni sfumatura possibile, il ruolo della mamma. Vengono raccontati tanti rapporti madre/figlia, da entrambi i punti di vista, tutti molto diversi e rappresentativi di realtà differenti e molto realistiche.

Mother” è un drama emotivamente sfiancante, la cui visione è faticosa come essere davvero in fuga, e in effetti ho dovuto fare dei pit stop perché ero piuttosto provata (ci ho messo più di un mese a terminarlo). Ciò nonostante, quando si arriva alla fine lo si fa con un’inaspettata serenità.

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Beyond Evil

Beyond Evil (titolo originale “Monster”) è un thriller psicologico drammatico di stampo mystery coreano del 2021, composto da 16 episodi di circa un’ora l’uno. È visibile su Viki con i sottotitoli in italiano.

INCIPIT: Han Joo-won, giovane e capace detective, viene trasferito nella stazione di polizia di Manyang, piccola e tranquilla città in cui tutti si conoscono e sono cresciuti insieme. Nel momento in cui avvengono omicidi che sembrano ricordare quelli di vent’anni prima, il ragazzo si troverà a lavorare fianco a fianco con Lee Dong Shik, agente molto abile, ma retrocesso a mansioni di poco conto fino a quel momento. Per individuare l’assassino i due dovranno scavare molto più a fondo di quanto credevano necessario, trovandosi costretti a sospettare di tutti in quella piccola e tranquilla città, che forse tanto tranquilla poi non è. Ma come in un circolo vizioso, più si scopre e più bisogna scoprire, per capire la vera essenza delle cose. È una continua ricerca della verità, un’incessante scoperta della natura umana.

Se mi chiedessero una top ten dei miei thriller preferiti, senza dubbio “Beyond Evil” ci rientrerebbe. È un drama che ha tutto quello che personalmente ricerco nel genere: è intrigante, intelligente, mai banale, ma soprattutto è incredibilmente Inquietante, claustrofobico ed enigmatico, sia per la storia, sia per i personaggi. Ogni volta che si pensa di aver ben chiaro il quadro della situazione, tutto si ribalta, c’è sempre una verità nascosta da far venire a galla, verità che cambierà il corso degli eventi, la percezione degli stessi e anche dei personaggi che ne fanno parte. “Beyond Evil” è uno di quei thriller che ti fa mettere in dubbio anche i concetti più basilari, come la definizione stessa del male.

L’interpretazione del cast, e in particolare dei due attori principali, è ottima sin da subito, ma man mano che si va avanti si fa sempre più minuziosa: posso dire che se all’inizio sembra che il personaggio di Dong Shik metta quasi in ombra tutto il resto, con lo scorrere degli episodi le cose si equilibrano e il comprimario Joo Won inizia a splendere, diventando altrettanto interessante e di forte impatto scenico, il che mi fa dire, alla fine della visione, che sono stati di pari livello.
La freddezza narrativa che traspare nei primi episodi, è un aspetto secondo me assolutamente necessario per il messaggio generale del drama, e volta a enfatizzare il passaggio successivo, che sarà quello di arrivare sempre più a fondo nel lato umano della questione (nel bene e nel male).
Solo che non lo si capisce fino a che, alla fine, non sarà davvero chiaro dove la storia sia voluta andare a parare. È proprio questa insicurezza generale che si prova durante tutta la visione che regala allo spettatore il giusto livello di eccitazione per una storia di questo tipo. I tempi narrativi sono davvero perfetti, non ci sono buchi di trama, la storia è sì complessa, ma non eccede mai.

Quindi, se avete voglia di uno di quei thriller che vi lasciano con il fiato sospeso fino alla fine e che vi fanno porre una domanda dietro l’altra, ma a cui troverete per ognuna una risposta soddisfacente, allora “Beyond Evil” è una visione irrinunciabile.

Piccola nota: l’interpretazione di Shin ha-kyun gli è valsa il Premio come Miglior Attore ai Baeksang del 2021 e nella stessa occasione la serie ha vinto il Premio come Miglior Drama.

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Bokura no yuuki: Miman City

Bokura no yuuki – Miman City (che sta a significare “Il nostro coraggio – Le chiavi della città”) è un drama giapponese del 1997 di genere fantascientifico, thriller e mistery, ed è composto da 10 episodi da 45 minuti l’uno.

INCIPIT: i confini della città di Makuhara sono stati delimitati. I notiziari parlano di una forte scossa di terremoto nella zona, per cui ne viene vietato l’accesso ai non abitanti del luogo per questioni di sicurezza. Due liceali, Takeru e Yamato, si dirigono verso la città nonostante gli avvisi, ognuno con una sua motivazione alle spalle. Si incontrano durante il viaggio e arrivano insieme alla città, riuscendo ad accedervi, nonostante gli stretti controlli militari. Quando iniziano ad addentrarsi si rendono conto che non sembra essere stata colpita da un terremoto, ma notano comunque che c’è qualcosa di strano. Facendo la conoscenza di alcuni ragazzi e bambini sul luogo, gli viene raccontato che gli adulti sopra i vent’anni circa sono tutti morti e che solo i più giovani sono sopravvissuti. Come se non bastasse, una volta dentro, si rendono conto che ora sono bloccati lì e che non gli è permesso uscire e quindi ritornare a casa. Cosa accadrà ai ragazzi? Cosa è davvero accaduto a Makuhara?

Bokura no yuuki” è un drama unico nel suo genere, non credo che mi capiterà più di vedere qualcosa di simile, né lo avevo mai visto prima. Sembra un mix di tante storie già viste, eppure ha un’identità tutta sua. Può essere affiancato a un post-apocalittico, a un survival, a un crime (focalizzato sulla lotta tra gang da strada), a un thriller per l’appunto, ma forse la cosa che più di tutte lo rende unico, è che è un’ottima opera di formazione, anche se inusuale, poiché appunto mostra bambini e ragazzi alle prese con una vita dura e fredda, senza l’appoggio dei propri genitori, o di nessun adulto in generale, costretti a cavarsela da soli anche solo per sfamarsi.
Il governo che li ha isolati, manda razioni di vario tipo, ma essendo soli all’interno delle mura della città, la giovane popolazione, al di là dello shock per la morte dei loro cari, si è da subito riorganizzata in gruppi e la vita segue la regola del più forte. Diatribe, lotte per il potere, scorribande, furti, nascondigli, fortezze, amicizie tradite e lealtà da persone inaspettate, paura di crescere, sogni spazzati dall’urgenza della sopravvivenza: tutto questo è “Bokura no Yuuki”. E nel mentre lo spettatore combatte con loro, si immerge anche nei fatti al di là delle mura, quei fatti che ai ragazzi sono preclusi perché intrappolati lì dentro.

Se doveste pensare che un racconto di questo tipo possa risultare noioso, accantonate pure ogni timore o dubbio: “Bokura no yuuki” vi farà vivere ogni istante in maniera vivida, come se foste con loro nella città di Makuhara, e questo grazie anche a delle interpretazioni superlative di un cast quasi del tutto giovanissimo: spiccano i componenti del (tutt’oggi) noto duo musicale “KinKi Kids”, formatosi nel 1993, Koichi Domoto e Tsuyoshi Domoto, e un Jun Matsumoto appena tredicenne, alla sua prima esperienza recitativa. Se pensate che questo aspetto vi convinca ancora meno, andate oltre, perché i ragazzini della storia non sono semplici bambini o adolescenti, sono esseri umani costretti a crescere di colpo e a sviluppare doti e intelligenza molto prima del necessario per poter accaparrarsi una qualsiasi conquista, anche la più piccola, e soprattutto, se si vuole guardare al lato più filosofico, possono essere visti come una promessa per il futuro, come se il mondo intero si fosse azzerato e dovesse ripartire da loro.
Possiamo assistere a dialoghi ricchi e profondi, a situazioni difficili e penose, ma anche a momenti di inaspettata leggerezza, forse proprio a voler ricordare ai telespettatori che anche se non lo sembrano, chi abbiamo davanti non sono adulti, sono solo figli disperati dell’inusuale situazione, e alla base pur sempre troppo piccoli per capire la gravità che risiede nel furto del loro futuro.

Sicuramente non è un’opera semplice da digerire, ma fa molto riflettere, sulle colpe della società odierna, sul significato dell’essere adulti, adolescenti e bambini, sul senso della vita, sul quanto sia importante la speranza per un futuro migliore.

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In questo caso non mi è stato possibile trovare nessun trailer, quindi ho messo una scena tratta dal primo episodio, giusto per rendere l’idea dell’atmosfera generale e del tipo di regia.

Misty

Misty“, serie coreana del 2018, composta da 16 episodi di un’ora e dieci l’uno. È un thriller melodrammatico e romantico di stampo mistery.

INCIPIT: Hye Ran è la conduttrice di news più famosa della nazione. A un certo punto viene accusata dell’omicidio di un noto giocatore di golf, di cui era stata amante anni prima. Il suo avvocato difensore sarà suo marito, Tae Wook, che ha iniziato a svolgere questo lavoro dopo aver abbandonato quello di procuratore. Cosa accadrà al loro matrimonio? E alla carriera di Hye Ran, che ovviamente ora è sotto i riflettori per motivi che non riguardano il lavoro?

Il nucleo della storia è senz’altro lei, Hye Ran , interpretata magistralmente da Kim Nam Joo. Ci troviamo di fronte a una personalità di spessore, complessa, poliedrica, carismatica, affascinante, apparentemente fredda e inflessibile, sempre combattiva e sicura di sé, giusta e leale nei confronti dei propri ideali. Tuttavia sappiamo fin troppo bene che una donna, nonostante un carattere di questo tipo, in un mondo come quello del giornalismo che è estremamente competitivo e ancora fortemente maschilista (e non solo in Corea purtroppo), deve lottare molto di più per dimostrare il suo valore e per costruire una posizione stabile.

Detta così, sembra che l’intero drama sia lei e lei soltanto, e in effetti secondo me è in parte vero per i tanti motivi che ho appena spiegato, tuttavia “Misty” è innanzitutto un ottimo mistery, il cui sviluppo porta a un twist di trama davvero notevole.
I rapporti tra i vari personaggi sono molto intensi e se ne vuole sapere sempre di più, e in questo ha un lato accattivante che non ho trovato facilmente in altre storie.

La lentezza di molte scene, il focalizzarsi della telecamera su immagini statiche, sugli sguardi, sui paesaggi, su ogni tipo di particolare, porta lo spettatore ad accumulare una tensione che in certi momenti si taglia con il coltello, quindi anche dal punto di vista registico c’è una realizzazione di intenti davvero minuziosa, il cui stile risulta molto elegante e raffinato, proprio come la protagonista.

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Stealth Walker

Stealth Walker“, serie cinese di 24 episodi da circa 45 minuti l’uno, che trovate su Viki interamente tradotto in italiano. Generi: thriller, mistery, romantico e poliziesco.

INCIPIT: lei, Lin Qiang, sta cercando di entrare in polizia e finisce in una missione sotto copertura, lui, Zhang Xian He, è il figlio di un rinomato boss mafioso. Poi c’è il terzo protagonista, amico da anni di Lin Qiang (e per la quale prova dei sentimenti), che lascia la swat per entrare alla narcotici e far parte della missione sotto copertura che è stata affidata alla ragazza.
Come potete intuire, Lin Qiang e Xian He si incontreranno in un ambiente poco amichevole e molto pericoloso, e il loro rapporto non potrà che evolvere tra sfiducia e dubbi.

È bene chiarire subito che il lato romantico non è il fulcro, che invece si concentra sulla missione sotto copertura mirata a smantellare un enorme produzione e spaccio di droga, tuttavia la storia tra i due protagonisti acquisisce importanza se si guarda alla loro crescita ed evoluzione. I due attori, tra l’altro, sono stati capaci nel far emergere la loro chimica anche in aspetti e situazioni che esulano dalla questione prettamente sentimentale.

Cosa mi è piaciuto del drama? È una bella storia con ottimi colpi di scena, un’atmosfera spesso brutale (come è giusto che sia data l’ambientazione), anche se non mancano scene simpatiche e che riescono a smorzare un po’ i toni.
Il ritmo narrativo è piuttosto serrato e non annoia mai, e l’evoluzione dei personaggi è molto realistica e ben strutturata.
L’unica pecca è che ci sono degli aspetti, soprattutto per quanto riguarda alcuni personaggi secondari, che mi hanno lasciato un po’ di amaro in bocca per via del poco approfondimento, tuttavia nulla che lasci una sensazione di incompletezza alla fine. Questo ha sì precluso al drama l’eccellenza per quanto mi riguarda, tuttavia continuo a ritenere che valga ogni minuto speso per guardarlo.

A prescindere dalle sue mancanze, se amate i drama di genere crime, con tanto di thriller e una spolverata di romance, non potete assolutamente perderlo.

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Designated Survivor: 60 days

Designated Survivor: 60 Days” è un drama coreano del 2019, di genere politico, thriller, mistery e drammatico. È composto da 16 episodi da un’ora e 15 minuti l’uno. Lo trovate su Netflix, sottotitolato in italiano.

È il remake della serie americana “Designated Survivor”, però ammetto di non averla mai vista, quindi non farò nessun paragone tra le due. Quello che so per certo però, è che hanno dovuto riadattare la storia alla Corea del Sud e non sarà stata un’operazione per nulla semplice, data la complessità della trama e l’enorme differenza politica e storica dei due paesi.

INCIPIT: La serie inizia con l’esplosione dell’Assemblea Nazionale coreana, luogo in cui in quel momento si trovano il Presidente della nazione e moltissimi dei ministri dell’attuale governo (più molte persone dello staff). Conclusione: muoiono più di 300 persone nell’attentato e la Corea del Sud si ritrova senza una guida politica. Il primo in successione che può sostituire il Presidente è il Ministro dell’Ambiente (ex insegnante universitario), che non si trovava all’Assemblea Nazionale quel giorno perché era stato licenziato giusto qualche ora prima. Tuttavia il licenziamento era avvenuto talmente poco tempo prima dell’esplosione, da non essere ancora effettivo, rendendolo così il legittimo Presidente ad Interim della nazione, fino alle prossime elezioni democratiche che si terranno dopo due mesi.
In un’atmosfera di totale terrore, sfiducia, instabilità, insicurezza, cosa accadrà alla Corea, alla sua popolazione e al suo attuale Presidente? Che piega prenderanno gli eventi? Chi è stato ad architettare l’attentato terroristico e perché?

La serie è congeniata in maniera tale che tra mille dubbi e domande, in una tensione continua, fin dai primi minuti del drama si viene catapultati all’interno della Casa Blu e delle dinamiche politiche nazionali che la permeano, che solitamente sembrano essere cose così distanti dalla popolazione, da non riguardarla.

È proprio questa secondo me la magia di questo drama: rendere elettrizzante una questione tanto complessa e apparentemente elitaria come la politica statale, riuscendo a far capire un concetto per me fondamentale, cioè che ogni politica, dalla più capillare a quella nazionale, non è mai lontana dal popolo e non è mai qualcosa di astratto (e mai deve esserlo), perché essa non è altro che la nostra quotidianità e penetra in profondità in ogni particolare della vita di tutti.

Il drama è tanto accattivante ed emozionante (fino ad arrivare alla solennità in alcuni momenti) perché è fatto di ideali, scontri, ideologie, tattiche, dinamiche, equilibri, che sì, fanno parte anche di ambienti specifici come quello politico, ma che di fatto si riscontrano in ogni ambito, perché ogni individuo ha le proprie idee e le porta avanti a modo suo. Per questo, possiamo rispecchiarci o meno nei messaggi che vuole dare questa storia, ma di sicuro una cosa è chiara e universale: il futuro è nelle nostre mani, e abbiamo il diritto e il dovere di rendere il mondo un posto migliore, sempre.

Anche in questo caso è da mettere in evidenza il cast, oserei direi stellare, composto da molti di attori che già conoscevo e che ho apprezzato moltissimo in altri drama, come Ji Jin-hee nel sopracitato “Misty”, Heo Joon-ho in “Come and Hug Me” e “Missing: The Other Side“, Lee Joon-hyuk in “Stranger”, “Are You Human Too?” e “365: Repeat the Year”, o ancora Kang Han-na in “Familiar Wife”, “Start-up” e “Just Between Lovers”, ma anche da altri che non conoscevo e che hanno ugualmente catturato la mia attenzione, come ad esempio Son Seok-koo, che ho successivamente avuto modo di ammirare in opere molto differenti tra loro: “D.P.“, “My Liberation Notes“, “A Killer Paradox” e “Matrimonial Chaos“.

Per concludere, riconosco il fatto che se non si ama il genere politico, questo drama potrebbe non essere proprio leggero da seguire, ma per chi ha invece un minimo di interesse, posso assicurare che è una delle visioni più avvincenti e da cardiopalma che mi siano capitate tra le mani.

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