Dalle serie che si giocano il tutto per tutto sul cliffhanger (espediente che interrompe bruscamente la narrazione in corrispondenza di un colpo di scena o di un momento di forte suspense), a quelle che preferiscono un lavoro in sordina puntando molto su una tensione continua ma mai esagerata, il thriller è un genere che può facilmente risultare accattivante.
Personalmente parlando, è uno dei miei generi preferiti e ne ho visti davvero di tutti i tipi, per questo ho voluto fare una lista di quelli secondo me irrinunciabili, soprattutto se si è amanti del genere.
Note:
1) Avendone molti da consigliare, ho deciso di dividere la lista in più parti.
2) La lista non è una classifica, pertanto non sono in ordine di preferenza.
Kairos

“Kairos“ è un thriller fantascientifico coreano del 2021, composto da 16 episodi di circa un’ora e dieci l’uno.
INCIPIT: Un direttore di una ditta di costruzioni, Kim Seo-jin, la cui vita con moglie e figlia accanto sembra essere pressoché perfetta, vede il suo mondo sconvolgersi quando la bimba viene rapita. Per volere del destino l’uomo, tramite una telefonata che avviene sempre alle 22:33 e dura per un solo minuto, entra in contatto con una donna, Han Ae-ri, che sembra essere un mese indietro nel passato rispetto a lui: le chiede così se può in qualche modo aiutarlo, cercando di evitare il rapimento della figlia e, di conseguenza, tutto ciò che esso ha comportato. Nel frattempo la ragazza, un mese indietro nel tempo, conduce una vita dura lavorando part time e aspettando da anni un trapianto di cuore per la madre malata: in quest’attesa che sembra essere senza fine, la madre scompare nel nulla e nel mentre Ae-ri entra in contatto con Seo-jin, così decide di aiutarlo con la figlia a patto che lui, dal futuro, cerchi di capire che fine abbia fatto sua madre.
Questa storia, colma di colpi scena e dal ritmo serrato, è trainata da una trama originale e senza buchi, nonostante la sua complessità, e da un cast molto potente: sarò di parte perché adoro Lee Se-young, ma reputo che in questo drama abbia dato vita alla sua migliore interpretazione. Anche l’altra protagonista, Nam Gyu-ri, è stata bravissima nell’interpretare un personaggio tanto affascinante, quanto imprevedibile. Poi abbiamo la controparte maschile del cast, rappresentata dai meravigliosi Shin Sung-rok, Ahn Bo-hyun e Kang Seung-yoon (che oltre alle sue doti canore, aveva dato già prove delle sue abilità recitative, ad esempio nel capolavoro di stampo slice of life “Prison Playbook“): questi tre attori sono stati uno più bravo dell’altro nel portare sullo schermo personaggi poliedrici e dallo sviluppo per nulla scontato. In effetti l’evoluzione dei cinque personaggi principali è forse l’aspetto meglio riuscito e più intrigante della storia, poiché il paradosso temporale (comunque sviluppato divinamente) può essere visto molto come un espediente narrativo pensato per forzare i personaggi a guardarsi allo specchio e affrontare la realtà, oltre che a servire per creare un accattivante intreccio di eventi.
Senza fare alcuno spoiler, posso affermare che il finale è uno degli aspetti che più ho amato: in totale contrasto con l’andamento generale dell’opera che invece alimenta ansia e incertezza, l’ho trovato molto appagante e rassicurante, e altresì ho trovato veramente bellissimi i messaggi che racchiude la storia, primo tra tutti, come accennavo poc’anzi, l’importanza di rivalutare la propria vita e sé stessi, di guardare alle cose con onestà, anche se fa male.
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Children of Nobody

“Children of Nobody” è un thriller psicologico coreano del 2018, composto da 32 episodi di circa 30 minuti l’uno.
INCIPIT: Cha Woo-kyung è una consulente in un centro per l’infanzia. Con accanto un marito perfetto e in dolce attesa del suo secondo bambino, la sua vita senza pieghe e ombre viene stravolta da un incidente. Farà la conoscenza di un detective, Kang Ji-hun, il quale è fermamente convinto che i criminali dovrebbero essere puniti molto più severamente di quanto realmente avviene.
Oltre ai personaggi principali attorno ai quali ruotano gli eventi, ci sono anche altri protagonisti. Protagonisti che si è voluto togliere dall’invisibilità in cui sembravano immersi: i bambini. Quelli meno fortunati, quelli che sono capitati in situazioni famigliari complicate e infelici, che hanno bisogno di un aiuto, ed è proprio su questi bambini che la nostra protagonista ha incentrato la carriera.
Questo drama, per i temi affrontati e il modo in cui vengono trattati, è senza dubbio tra i più pesanti e forti che abbia mai visto. L’atmosfera è essenzialmente cupa e angosciante, ma il tutto ha un ritmo piuttosto lento, che ti da il modo di assimilare ciò che sta accadendo e di digerirlo, per quanto possibile.
La sceneggiatura non manca assolutamente dell’atmosfera intrigante di un classico thriller con una parte crime, e anzi, questo aspetto è particolarmente curato e si sviluppa in modo tale da non far calare mai l’interesse dello spettatore fino alla fine: come dicevo anche nella presentazione dell’articolo, questo è uno dei quei drama che gioca molto con l’atmosfera, anche tramite la qualità della fotografia e della regia, e con una tensione non sempre esagerata ma costante per tutta la sua durata.
Il titolo della serie, “Children of Nobody”, che in italiano vuol dire “Figli di nessuno”, dovrebbe far intuire già qualcosa sul contenuto, tuttavia quando un’opera è scritta bene quanto questa e con una tale crudezza e poesia, ciò che si prova alla fine della visione è sempre molto di più di ciò che ci si aspetterebbe. Questa serie è un pugno allo stomaco, è una storia triste che fa provare una grande pena, tuttavia posso assicurare che allo stesso modo fa provare un grande calore e una grande tenerezza: finché ci saranno persone disposte a porgere una mano e a non voltarsi dall’altra parte, ci sarà sempre speranza.
Ovviamente l’ottima interpretazione di tutto il cast ha reso ancora più intensa una visione che già di per sé è destinata a rimanere impressa: a partire dall’attrice Kim Sun-ah, che ha rappresentato con la delicatezza dovuta la crisi attraversata dalla protagonista, in una presa di coscienza via via sempre maggiore, continuando con Nam Gyu-ri (che abbiamo già incontrato in “Kairos”) e Cha Hak-yeon (conosciuto anche con il nome d’arte “N”) che interpretano due giovani anime fin troppe provate dalla vita, fino ad arrivare a Lee Yi-kyung che stupisce per la sua credibilità con una parte “stranamente” seria, dopo svariati ruoli comici per cui sembra essere nato.
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The Bad Kids

“The Bad Kids” è un web drama cinese di genere thriller/psicologico del 2020, composto da 12 episodi di circa 50 minuti l’uno (visibile su Iqiyi con sottotitoli in inglese).
INCIPIT: tre ragazzini, per un caso fortuito, filmano un duplice omicidio, che però viene riconosciuto dalla polizia come incidente. Cosa accadrà quando il trio si renderà conto di avere in mano l’unica prova del reato?
Questa web series è atipica e peculiare: con tratti che vanno dall’affascinante al grottesco, passando per il disturbante, ha un magnetismo fuori dagli schemi. La carta vincente? Sicuramente il fatto che i protagonisti siano bambini. Tuttavia, poteva un unico aspetto bastare a rendere capolavoro un’opera? Ovvio che no, ci vuole ben altro, e “The Bad Kids” questo altro ce l’ha: personaggi di un tale spessore che sembrano reali (bimbi in primis) e la cui evoluzione o involuzione è incredibilmente ben sviluppata; interpretazione del cast da rimanere a bocca aperta (bimbi in primis anche in questo caso), tanto che è valsa a molti di loro svariati premi ufficiali; atmosfera cupa e macabra resa tale da un’attenzione maniacale per i particolari, anche nella scenografia, che si sposa perfettamente con il ritmo incalzante ma mai da cardiopalma della sceneggiatura; ottima descrizione del contesto sociale che non fa solo da sfondo, ma che fa da filo portante; musiche scelte con un’attenzione da musicista (quale è il regista della serie, che è anche chitarrista) e che alzano il livello emotivo dell’intera serie; una regia e una fotografia pazzesche, soprattutto se si pensa che essendo una web series non ha avuto un budget stellare; e in ultimo, ma non per importanza, la totale imprevedibilità della trama e degli atteggiamenti dei personaggi.
Insomma, questo web drama ha tutto quello che si potrebbe volere in un thriller dark psicologico, e in più ha anche ottime componenti slice of life e coming of age che, anche se potrebbe apparire strano, si amalgamano in maniera del tutto naturale con il resto della storia e con l’atmosfera generale della parte thriller.
In effetti, l’aspetto che mi ha colpita di più è stato proprio il risvolto sociale dell’opera: di fatto “The Bad Kids” dipinge senza veli il decadimento e il fallimento della nostra così detta “civiltà”, causati dall’atteggiamento di noi adulti, plasmatori dei nostri figli, o peggio ancora, colpevoli di averli abbandonati e di non aver fatto loro da guida.
In che condizione stanno crescendo questi ragazzi, e che strade stanno prendendo? Quanta responsabilità abbiamo nel loro percorso verso una sempre maggiore maturazione e presa di coscienza? Il drama obbliga a porsi queste domande e a guardare in faccia una realtà poco piacevole, ma che è necessario riconoscere per poter migliorare le cose.
Nota: per chi fosse interessato, di questo drama ho già scritto in separata sede un’approfondita recensione.
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Someday or One Day

“Someday or One Day“ è un thriller romantico/fantascientifico taiwanese del 2019, composto da 13 episodi di circa 1 ora e 10 minuti l’uno (visibile su Viki con sottotitoli in italiano).
INCIPIT: la ventisettenne Huang Yu Xuan piange la scomparsa del ragazzo, Li Zi Wei, da due anni: non avendo mai ritrovato il corpo per tutto questo tempo, viene oramai dato per morto. Un giorno la ragazza viene investita da un’auto, e al suo risveglio in ospedale si ritrova davanti il suo ragazzo scomparso. O almeno così crede inizialmente, dato che subito dopo scopre che quel ragazzo dall’aspetto identico a Li Zi Wei, si chiama Wang Quan Sheng e lei stessa ha sì lo stesso aspetto, tuttavia non è chi si ricordava di essere, bensì una ragazza che frequenta ancora le superiori, di nome Chen Yun Ru. Oltretutto scopre di non essere più nel 2019, ma di essere tornata indietro nel tempo, nel 1998.
Cos’ha “Someday or One Day” di tanto speciale per rientra in questa lista? Innanzitutto il cast: Alice Ke, Greg Hsu e Patrick Shih hanno formato un trio perfetto, con una chimica palpabile e hanno mostrato a 360° la poliedricità dei loro personaggi.
Per quanto riguarda il resto, questo drama ha proprio tutto! Non solo rientra per forza di cose nella lista delle migliori serie di genere thriller, ma è in generale uno delle serie più belle che abbia mai visto: è e rimarrà sempre nella mia top ten dei drama preferiti e difficilmente, una volta che si è vista, si riuscirà a dimenticarla, ma più di ogni altra cosa è una di quelle (rare) serie che può piacere davvero a chiunque, a prescindere dai gusti, perché ricopre i temi e i generi più svariati.
Abbiamo una delle più belle storie d’amore che potrete mai vedere, una sceneggiatura di una complessità impressionante e nella quale, nonostante questo, non si trova un capello fuori posto (se la si segue con la dovuta attenzione); l’ambientazione, soprattutto quella degli anni ’90, è ricreata divinamente, riuscendo a donare una nostalgia e una malinconia incredibili (in particolar modo per chi, come me, quegli anni li ha vissuti, anche se in un altro paese); le canzoni che formano l’ost sono molto evocative (sigla d’apertura in primis), tanto da far riemergere le emozioni del drama a ogni ascolto. A questo proposito non si può non parlare della canzone del 1996 che fa da protagonista insieme ai tre ragazzi, cioè “Last Dance” di Wu Bai, il re del rock taiwanese: nel drama stesso si assiste a una scena di un suo concerto in un piccolo locale (il cantante è preso di spalle, quindi ovviamente non era lui). Nonostante molti dei temi affrontati siano seri (ad esempio depressione, bullismo e suicidio) l’atmosfera non è sempre tesa o triste, poiché grazie al bellissimo rapporto tra i tre, spesso si creano delle scene allegre e leggere che spezzano sapientemente i toni più cupi.
La parte slice of life, quella romance, quella mistery, quella thriller, quella psicologica e quella filosofica sono talmente incastrate bene tra loro che anche togliere un minimo particolare rischierebbe di creare un buco importante.
Insomma, “Someday or One Day” per me non è un ottimo drama, è IL drama.
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Mouse

“Mouse“ è un thriller psicologico/fantascientifico coreano del 2021, composto da 20 episodi di circa un’ora e 15 minuti l’uno, più 2 episodi speciali dal titolo “Mouse: The Predator” da circa un’ora l’uno.
Quest’ultimi non sono necessari alla conclusione del drama, bensì ripercorrono la storia da un punto di vista differente aggiungendo delle scene mai viste nella serie (il drama e gli episodi speciali si trovano entrambi su Viki con i sottotitoli in italiano e li trovate allo stesso link, infatti, se notate, troverete caricati 23 episodi: in realtà l’ultimo episodio della serie è il 20esimo, mentre gli ultimi 3 si dividono in “The Last” che è l’episodio con l’intervista al cast e i dietro le quinte del drama e in “The Predator” che a sua volta è diviso in due parti, appunto).
INCIPIT: Jung Ba-reum è un ufficiale di polizia ligio al suo dovere e un ragazzo a volte impacciato, ma molto gentile e sempre a disposizione per aiutare la comunità che serve in quanto agente. La sua tranquilla esistenza e quella del suo collega Go Moo-chi cambieranno rotta quando il paese verrà sconvolto da una serie di omicidi, a quanto pare commessi da un serial killer.
“Mouse” non è solo un capolavoro da un punto di vista di puro thriller: considero questa serie acuta, intelligente e per nulla banale, in particolare nei temi che pone in esame e nello sviluppo dei personaggi.
Si parte subito con una questione piuttosto tortuosa: se si avesse la possibilità di sapere, fin dal feto, che una persona sarà predisposta alla psicopatia, come sarebbe giusto procedere? Insomma, la disquisizione appare infinita e ogni parte potrebbe avere una fetta di ragione dalla sua: il punto del drama sta proprio nel mettere in tavola tutte le carte e nel portare a un’attenta riflessione su rilevanti temi etico/morali, non spostando mai troppo il baricentro della storia dalla parte meramente mistery/crime e mantenendo la tensione fino all’ultimo.
L’ingerenza di Dio e il libero arbitrio, il fato e la scelta, la menzogna e la verità, la vittima e il carnefice, l’apparenza e l’essenza, la genetica e l’influenza del contesto in cui si cresce: in un groviglio sempre più elettrizzante e agghiacciante, i personaggi vanno inesorabilmente incontro a un destino fin troppo mischino e beffardo, e mai come in questo drama si rispecchia bene il detto “si raccoglie quel che si semina”.
“Mouse” è una serie capace di mettere profondamente in crisi la morale dello spettatore rimescolando le carte del bene e del male: si arriva senza quasi alcun dubbio a domandarsi come sia possibile provare pena per un personaggio a dir poco terrificante.
Insomma, per me questo drama è stato uno dei quei rari casi in cui c’è stato un prima e un dopo, perché se si è visto “Mouse” non si può rimanere uguali a prima di averlo visto e di sicuro una visione del genere non può lasciare indifferenti.
Infine, nonostante mi sembri quasi scontato, aggiungo che anche in questo caso il cast ha giocato un ruolo fondamentale, e sebbene mi siano piaciuti tutti molto, colui che ha davvero brillato e ha staccato gli altri per intensità recitativa è senza dubbio l’attore protagonista, Lee Seung-gi, che ha dato vita a uno dei personaggi più belli (e di più difficile interpretazione) che abbia mai avuto il piacere di conoscere in una serie.
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Cruel City

“Cruel City” è un crime d’azione coreano (con una connotazione romantica) del 2013 composto da 20 episodi di circa un’ora l’uno: l’intera serie è visibile su Viki con i sottotitoli in italiano.
INCIPIT: Jun Shi-hyung, che si fa chiamare “figlio del dottore”, fa parte di una banda che spaccia droga, e vuole attuare un golpe per prendere il posto del capo e distribuirla lui stesso. Nel frattempo abbiamo Ji Hyung-min, un poliziotto con un forte senso di giustizia, che nella vita e nel lavoro è accompagnato da Lee Kyung-mi, anche lei poliziotta. Di sicuro grazie all’influenza di quest’ultima, sua sorella adottiva, Yoon Soo-min, sta studiando per entrare anche lei nel corpo di polizia. Le due ragazze sono cresciute insieme in orfanotrofio e ora, da adulte, vivono insieme.
Nell’incontro/scontro tra il mondo della droga e di una polizia che sembra essere portabandiera della correttezza più intoccabile, come si intrecceranno i destini di queste persone?
Potrei definire questa serie una tragedia, nel senso classico del termine, di quelle teatrali, un po’ alla Shakespeare. E non parlo solo del fatto che sia triste o che si possa prevedere fin dall’inizio che per alcuni non finirà bene viste le premesse, ma parlo proprio del tipo di intreccio che si crea tra i personaggi, dei fraintendimenti, dei tradimenti, dei forti sentimenti che li muovono, che siano essi d’amore, d’odio, di risentimento, di vendetta, tutti quasi al di sopra delle righe in certi casi (proprio come può accadere nel contesto teatrale, appunto). E tuttavia in questo tipo di opera, con la sua ambientazione e visto lo stampo che le è stato dato dall’inizio, niente risulta esagerato o fuori luogo, perché lo si prende come parte del gioco stesso.
In effetti se dovessi scegliere una sola parola per descrivere questa serie, userei passionale senza ombra di dubbio, e non intendo solamente la passione d’amore, o sessuale, bensì un significato più ad ampio spettro: è suadente e travolgente in ogni personaggio che descrive, nei legami che si creano, nelle dinamiche d’intreccio e di sviluppo della storia, nel fatto che non c’è una distinzione davvero netta tra bene e male nella maggior parte dei casi, fino ad arrivare ai dialoghi, ai costumi, alla scenografia (e anche in questi aspetti mi ha ricordato un’opera teatrale).
Ecco perché dico che “Cruel city” è un drama passionale, proprio perché alcuni dei rapporti che si creano sembrano essere contro natura, come gatto e topo, eppure allo stesso tempo, sembrano anche molto naturali, quasi inevitabili, o addirittura predestinati.
Con il suo ritmo pressante e che tiene sempre sul filo del rasoio a suon di colpi di scena, il drama scorre divinamente bene, nonostante i suoi 20 episodi (che iniziano a rappresentare una discreta lunghezza).
Parlando del cast, sono stati tutti fenomenali, ma sono due gli attori che hanno catturato completamente la mia attenzione, perché innamorata di loro già da lavori precedenti: mi riferisco a Jung Kyung Ho (il protagonista) e Choi Moo Sung (Safari), che curiosamente hanno lavorato insieme in un altro capolavoro, il drama di stampo slice of life “Prison Playbook” (che ho già nominato prima, parlando di Kang Seung-yoon).
E sì, anche qui troviamo Nam Gyu-ri tra i protagonisti (e giuro che non l’ho fatto di proposito a scegliere tutti questi drama con lei, evidentemente si sa scegliere molto bene i progetti in cui partecipare): sebbene l’abbia trovata un po’ più acerba rispetto alle sue interpretazioni successive (come appunto “Children of Nobody” e “Kairos”), è comunque già a un livello tale da tenere testa al resto del cast.