Genitori, nonni, zii, persino quelli acquisiti: quante volte li abbiamo visti nei drama come personaggi secondari? Magari ben scritti, ma pur sempre non protagonisti.
Tante volte, tra l’altro, non solo sono secondari, ma sono anche personaggi non del tutto positivi, che ricoprono il ruolo di antagonista che deve fare da contrasto ai personaggi principali, essendo magari la causa dei loro traumi, soffocandoli con una pressione eccessiva, opponendosi alla relazione dei figli, o istigandoli a guerre interne alla famiglia (gli esempi potrebbero essere infiniti).




Questo ci porta spesso a non provare molta simpatia per questa fascia d’età all’interno del mondo dei drama, ma pur quando i loro personaggi sono piacevoli, come dei genitori amorevoli e compresi all’interno di famiglie non disfunzionali, sono pur sempre personaggi subordinati, i cui ruoli vengono immersi in un contesto creato appositamente per i protagonisti e non per loro.
Come ogni personaggio secondario o addirittura di contorno, ciò che emerge sono spesso delle caratterizzazioni che mirano non tanto a mettere sulla scena una persona ben precisa, quanto il suo ruolo, che si rende “utile” nel percorso dei personaggi principali. Questo non significa che non possano uscirne di interessanti, tuttavia si percepisce la loro “non centralità” e il minore approfondimento del loro carattere, della loro storia, del loro essere.
Occorre inoltre specificare che non è che non ci siano drama in cui una persona più anziana sia protagonista insieme a un cast più giovane, tuttavia la sostanziale differenza di quest’opera rispetto alle altre sta nel fatto che qui non si tratta di un singolo personaggio immerso comunque in un contesto più giovanile, ma di un gruppo intero di persone appartenenti alla fascia della terza età, e la storia ne narra le vicissitudini del vivere quotidiano. Da ciò ne risulta che le dinamiche, i discorsi, i pensieri, arrivino come qualcosa di completamente nuovo e che si percepisca un sensazione di totale freschezza.

Per tutti questi motivi, “Dear My Friends” (del 2016, composto da 16 episodi e disponibile su Netflix con l’impostazione della lingua inglese) ne mette in scena il riscatto, rubando in maniera assoluta e definitiva i riflettori ai più giovani. Qui non fanno da supporto, non fanno da sfondo e non sono un collante: per una volta la storia si incentra su di loro, o perlomeno quasi del tutto. Ci sono dei personaggi più giovani (i figli o i nipoti dei protagonisti) e sebbene siano di spessore, sono loro, questa volta, ad essere funzionali ai genitori, ai nonni, agli zii.
Indice
- La storia
- Il punto forte
- Le musiche
- I personaggi e il cast
- Il contesto storico
- I temi
- Il messaggio
- Il finale
La storia
Nonostante non abbia molti pregiudizi sul genere da guardare e sul tipo di storia, perché la bellezza si può nascondere un po’ ovunque, devo ammettere che quando per la prima volta vidi la scheda informativa del drama, mi venne da chiedermi cosa ci potesse essere di tanto interessante da meritare una valutazione così alta (su Mydramalist ha la media di 8.7).
Subito sono andata a leggere qualche recensione, attenta a non farmi spoiler di nessun tipo, e ho intuito che potesse essere una di quelle storie che arrivano allo spettatore con la chiave della semplicità.
Non mi sbagliavo affatto, e dopo appena la prima metà del primo episodio aveva già intuito che i protagonisti e le loro vite mi sarebbero rimaste nel cuore.





Incipit: Park Wan, una scrittrice quasi quarantenne, si ritrova da tutta la vita circondata da sua madre e il suo gruppo di amici, ormai anziani (chi più, chi meno). La storia inizia nel momento in cui c’è una rimpatriata e la mamma costringe Wan ad accompagnare lei e alcuni suoi amici in macchina. Wan non è mai troppo felice di andare a queste rimpatriate: sarà per il divario generazionale, per la troppa parlantina che porta a domande a raffica non troppo gradite, ma Wan trova tutto questo una scocciatura, nonostante alla fine consideri gli amici più stretti di sua madre come degli zii acquisiti. La mamma ad un certo punto le chiederà di far diventare tutti loro i protagonisti del suo prossimo romanzo.
Il punto forte
I personaggi e la loro caratterizzazione minuziosa sono l’assoluta perla dell’opera, ciò anche grazie a una costruzione solida e realistica del loro background: amerete e odierete ognuno di loro, per ogni singolo pregio e ogni singolo difetto, perché sono i personaggi più realistici che abbia mia visto in un drama. Spesso mi sono sentita come se stessi prendendo parte ai loro discorsi, ai loro incontri, ai loro litigi, alle loro risate. In alcuni casi mi è sembrato di sentir parlare mia madre, altre mia nonna, proprio perché i loro modi risultano onesti e verosimili, non sembra esserci nulla di architettato.

Questo è stato possibile sia grazie alla bravura e all’esperienza recitativa decennale del gruppo di veterani, sia grazie all’estrema qualità dei dialoghi, che danno l’impressione che si sia appoggiata una telecamera e la si sia lasciata scorrere, riprendendo la vita di persone reali.
La cosa che più in assoluto mi ha affascinata è avere modo di studiare, osservare e imparare da persone non della mia stessa età, ma da persone che hanno vissuto una buona parte della loro vita, per vedere dove realmente sono le differenze di pensiero, in cosa consista il divario generazionale, se le paure cambiano, se le emozioni cambiano, e se con loro cambiano anche i desideri e i sogni. Questo aspetto mi ha attratta per tutta la storia e l’ha resa imprevedibile.
Le musiche
Il video che ho postato qui sotto è la sigla che apre ogni episodio: una canzone capace di catapultare istantaneamente lo spettatore nella vivacità e nella dinamicità dell’opera.
Oltre a questa opening azzeccatissima, il comporta musicale del drama è ottimo: ne fanno parte canzoni che esprimono vitalità e ironia, riportando alla mente momenti giocosi e frizzanti (“How Good”, Jannabi), e canzoni che, al contrario, concentrano nei pochi minuti della loro durata, tutto il dolore dei personaggi, dolori nuovi di difficoltà appena presentatesi e dolori antichi, di momenti che sono sopravvissuti ai ricordi di decenni, senza essere sbiaditi dal tempo (“Want to be Free”, Lyn). Poi ci sono anche canzoni che donano un senso di pace e rilassatezza, che sembrano capaci di placare gli animi sofferenti, arrabbiati, pieni di rimorsi (“Baby Blue”, Kevin Oh; “Dear My Friends”).
I personaggi e il cast
Come già accennato, in questo drama abbiamo un cast straordinario, forse uno dei migliori mai visti: non parlo solamente dei protagonisti, attori veterani che eccellono nelle loro interpretazioni così peculiari, ma anche dei secondari o del cast più di “contorno”, volti già molto noti e amati nel mondo dei drama. In primis Jo In Sung, Lee Kwang Soo e Sung Dong Il, poi anche Yeom Hye Ran, Jang Hyun Sung, Shin Sung Woo e Go Bo Gyeol.

Jo In Sung, Lee Kwang Soo e Sung Dong Il avevano già lavorato insieme in un altro meraviglioso drama del 2014, “It’s Okay, That’s Love“, scritto dalla stessa sceneggiatrice di “Dear My Friends”, Noh Hee Kyug. Sempre suo è uno dei migliori drama polizieschi, di stampo slice of life, intitolato “Live” (disponibile su Netflix italiano), in cui uno dei protagonisti è ancora Lee Kwang Soo, per il quale è evidente che la sceneggiatrice abbia un debole. E come darlo torto: è estremamente versatile ed espressivo, basti pensare a “It’s Okay, That’s Love”, in cui interpreta un ragazzo con la sindrome di Tourette, ruolo decisamente molto complesso.

I personaggi principali di “Dear My Friends” sono quasi tutte donne, nonostante ciò i due soli uomini che compongono il gruppo sono sufficienti per dare il giusto equilibrio alle dinamiche che si creano.

Park Wan (interpretata da Go Hyun Jung) è una donna che sembra annaspare per cercare la sua indipendenza e il suo spazio personale, tuttavia la presenza costante della madre, donna dal carattere molto invadente, non le facilita l’impresa.
Sembrano essere come cane e gatto, discutono sistematicamente, ma alla fine Wan cede sempre alle richieste continue che le fa.
Il loro rapporto unito e turbolento, incontrerà un punto di rottura inevitabile, e sarà da quel momento in poi che riusciranno a essere totalmente oneste tra loro e che si potrà arrivare a vedere il vero amore e i veri problemi che le legano, nel rapporto tanto viscerale quanto complesso che è quello tra una madre e una figlia.
E’ molto interessante osservare come la sua relazione con il gruppo di amici della madre cambi completamente durante il drama, e come si stravolga anche il suo modo di pensare e di vedere le cose grazie alla loro vicinanza.

In questo senso, c’è un momento nel terzo episodio, che mi ha emozionata particolarmente: la mamma di Wan e tutti gli altri protagonisti, si recano da un fotografo per farsi fare le foto che poi utilizzeranno per le loro lapidi. In quel frangente c’è un’atmosfera totalmente inaspettata di gioia e vitalità, di sorrisi e allegria, e Wan pensa “Per la prima volta in assoluto, ho iniziato a provare interesse per queste donne. Persone che si divertono così tanto mentre si fanno fare le foto per il loro funerale. Mia nonna, che ha detto che ha bisogno di lavorare il suo campo anche se la morte le bussa alla porta. “Abbiamo tutti un limite di tempo”. Questo tempo arriverà quando questo momento, che sembra eterno, vedrà la sua fine? Tutto ciò mi sembra surreale.”
Wan sarà anche protagonista di una delle più belle storie d’amore che abbia mai visto in un drama: nonostante non sia centrale, dona ancora più profondità alla già fitta rete di tematiche sviluppate nell’opera e alla caratterizzazione del suo personaggio.

Jang Nan Hee (interpretata da Go Doo Shim) è la mamma di Park Wan.
Come accennato sopra, è una donna molto invadente, testarda, che tende a prevaricare gli altri, soprattutto la figlia, che sente quasi come un oggetto di sua appartenenza.
Nonostante questa premessa, che potrebbe non sembrare positiva, in realtà si intuisce quanto questi suoi lati del carattere non siano dati da prepotenza o cattiveria, bensì da convinzioni e retaggi mentali difficili da sradicare. E’ convinta che ciò che fa sia per il bene della figlia, non notando però che tutto questo la sta piano piano soffocando, invece di aiutarla.

E’ un personaggio che si ama e si odia allo stesso tempo, perché è pesante in molti momenti, tuttavia non si possono non comprendere le sue paure e il suo amore sincero, anche quando lo esprime in maniera disfunzionale. Il punto è che lei e Wan hanno una visione completamente agli antipodi su come dovrebbe essere il rapporto tra madre e figlia, e questo è uno degli aspetti che evidenzierà maggiormente il tema del divario generazionale.

Jo Hee Ja (interpretata da Kim Hye Ja) è forse il personaggio più frustrante tra tutti, ma anche quello che ispira più tenerezza: ha una personalità non semplice con cui avere a che fare, molto spesso è infantile e si impunta sulle inerzie, proprio come una bambina che fa i capricci. E’ anche una persona che è schiacciata da molte paure e ossessioni, ma allo stesso tempo, per non pesare sulle persone che ama, cerca di soffocarle e non darle a vedere, o al massimo cerca di affrontarle da sola. Questo atteggiamento deriva da quella che è forse la sua più grande paura, ossia di venire abbandonata in un ospizio perché ritenuta non capace di provvedere a sé stessa.

Il rapporto che ha con uno dei suoi figli, Yoo Min Ho (interpretato da Lee Kwang Soo) è una delle cose che più mi hanno scaldato il cuore dell’intero drama: è difficile mettere in scena un amore tanto sincero, che risulti così credibile, sembravano davvero madre e figlio.

Di fondamentale importanza per Hee Ja, soprattutto visto il carattere, è la sua migliore amica, Jung Ah, che ne è il perfetto opposto, ed è l’unica capace di tenere a bada le sue fisse, le sue paure e la sua infantilità.

Ed eccoci arrivati proprio a lei, Moon Jung Ha (interpretata da Na Moon Hee), di cui ho appena fatto un accenno,
la migliore amica di Hee Ja.
Jung Ha è solare e frizzante, e cerca sempre di affrontare la vita con il sorriso e la giusta dose di positività.
E’ l’unica ancora sposata del gruppo di amiche e sta insieme a suo marito da quasi cinquant’anni.
Nonostante sembri avere un carattere paziente e passivo, le motivazioni che l’hanno spinta per buona parte della vita ad abbassare la testa difronte ai maltrattamenti subiti derivano più che altro dal desiderio di un quieto vivere.
Forse proprio per questa premessa, sarà il personaggio che si rivelerà il più “ribelle” tra tutti: cercherà di trovare sé stessa all’interno di un ingranaggio ormai ben rodato, ma che si rende conto di non riuscire più a sopportare, e soprattutto capirà che non è più obbligata a farlo e che in realtà non lo è mai stata.

Il meraviglioso rapporto che ha con la mamma, molto anziana e in una casa di cura da anni, e varie vicissitudini che vivrà anche indirettamente tramite le figlie, le faranno avere una totale presa di coscienza, dolorosa e coraggiosa: deciderà di stravolgere la propria vita a un’età in cui generalmente si pensa che niente possa più cambiare, che tutto rimarrà come è sempre stato, fino alla morte.
Ma la vita è una sola, e dopo averla passata a piegare la testa e la schiena per gli altri, il suo desiderio più grande è quello di viverla fino in fondo, fino alla fine, seguendo la strada che farà stare bene lei per prima.

Kim Suk Gyun (interpretato da Shin Goo) è il marito di Jung Ha.
E’ un uomo dalla personalità burbera e scontrosa: dà per scontata la presenza della moglie e il fatto che lo serva e lo riverisca in tutto e per tutto.
E’ estremamente parsimonioso, o per meglio dire, è ossessionato anche dai centesimi, tanto che tiene ogni scontrino di ogni singola spesa da parte per fare i conti alla fine del mese, e da quando lui e Jung Ha si sono sposati non sono mai andati a fare un viaggio, nemmeno per la luna di miele. Così sono anni che le promette che quando andrà in pensione, partiranno per il viaggio dei sogni in giro per il mondo, ma questo momento sembra non arrivare mai, perché lui continua a lavorare nonostante abbia superato lungamente l’età pensionabile.
E’ una persona molto materialista, che non sa minimamente come esprimere affetto e non ha mai una parola buona per nessuno.
Nonostante questo, è un personaggio che ho amato molto, poiché anche per lui arriverà il momento di fare i conti con il suo carattere spigoloso e problematico, e quando accadrà, se ne comprenderanno il vero animo e i veri sentimenti e ci si sentirà più vicini e più comprensivi nei suoi confronti, pur non giustificandolo in toto per ogni torto commesso.
Lui più di tutti rappresenta la “freddezza” e il pragmatismo di una generazione cresciuta nella povertà e nel patriarcato più assoluto.

Oh Choong Nam (interpretata da Youn Yuh Jung, che ha da poco vinto l’Oscar come Migliore attrice non Protagonista per il film “Minari”) è un personaggio dall’aria molto nostalgica, un animo eternamente romantico e idealista.
E’ molto ricca per eredità, e ad oggi si prende cura degli anziani della famiglia, ormai allettati e che si trovano in ospedale.
Forse proprio questo suo senso del dovere, il fatto che abbia sempre dovuto lavorare fin dalla giovanissima età e che quindi non abbia potuto frequentare la scuola, ora le fa quasi rigettare l’idea di dover rinunciare a vivere una bella vita solo perché avanti con l’età, le fa in qualche modo rifiutare l’idea stessa di star invecchiando, e non accetta di sentirsi inferiore agli altri perché poco acculturata.

Da questo ne deriva la sua filantropia: da anni si adopera per sovvenzionare artisti poco conosciuti e che fanno fatica ad emergere. Tutte persone molto più giovani di lei e che la fanno sentire parte di un mondo dinamico e stimolante, anche dal punto di vista intellettuale, come se questo potesse inspiegabilmente farla tornare indietro nel tempo o farlo fermare.
Sebbene all’inizio appaia come una persona talmente generosa da risultare quasi ingenua e sprovveduta, anche lei intraprenderà un percorso di realizzazione personale e di presa di coscienza, che le permetterà di vivere più in pace con sé stessa.

Lee Young Won (interpretata da Park Won Sook) è un’attrice molto famosa, ma nonostante la sua vita apparentemente invidiabile, amata da tutti, ha attraversato molti momenti dolorosi, affrontandoli nella solitudine, forse per paura di mostrare le proprie debolezze.
E’ una persona che si mostra sempre vitale e rappresenta lo”spirito libero” del gruppo.
Tanti anni prima, lei e Nan Hee erano migliori amiche, al punto da considerarsi sorelle, tuttavia ora non si parlano più, a causa di un forte rancore.

Come già detto, Nan Hee è molto testarda, e per Young Won è quasi infattibile farsi ascoltare e farsi comprendere come vorrebbe, ma la sua grande pazienza e il suo grande amore per gli amici di una vita, che considera la sua famiglia, doneranno il tempo necessario per far sì che ogni malinteso venga chiarito, e che i rapporti che si erano rovinati trovino nuovo vigore.
Ha un rapporto molto materno con Wan, che per lei è come una figlia e una carissima amica, e Wan, che ha un rapporto turbolento con la madre, trova in Young Won una seconda figura materna, molto amorevole e comprensiva.

Lee Sung Jae (interpretato da Joo Hyun) si unisce al gruppo dopo tanti anni che si erano persi di vista.
E’ un uomo molto elegante, premuroso, deciso e che sa come usare le parole: d’altronde, anche se in pensione, è pur sempre un rinomato avvocato.
La sua presenza sarà fonte di una rinnovata vitalità all’interno delle dinamiche e dei rapporti ormai assodati da anni dei suoi amici di vecchia data.
Sung jae è una persona a cui piace godersi la vita fino all’ultimo, e in lui si rispecchia maggiormente il concetto del “non è mai troppo tardi per…”.

Con il suo fare intraprendente riesce a influenzare e coinvolgere anche gli altri, e questo aspetto è ciò che lo rende estremamente amabile e piacevole, oltre al fatto che è una persona con un grande cuore e una spiccata sensibilità.

Oh Ssang Boon (interpretata da Kim Young Ok, colei che viene considerata la nonna nazionale) è la mamma di Nan Hee.
Può essere considerata il collante del gruppo, e un enorme punto di riferimento per ognuno di loro, al punto che la chiamano tutti “mamma”.
E’ una donna di una generazione ancora precedente alla loro, che ha vissuto nel pieno del periodo forse più drammatico della storia coreana moderna: sulle sue meravigliose rughe, si può leggere tutta la difficoltà delle situazioni che ha dovuto affrontare, ma anche la grazia di essere arrivata alla sua età con tutta la dignità che una donna può avere in corpo.

Nonna Ssang Boon è una vera forza della natura: grandissima maestra di vita e una combattente inarrestabile, che dona forza e perseveranza a chiunque abbia la fortuna di starle accanto.
Il contesto storico
Se c’è una cosa che ho capito dopo tanti drama visti, è che i coreani sono maestri nel raccontare il quotidiano nel modo più semplice e diretto, e allo stesso tempo nel modo più toccante, delicato e poetico possibile: questo è dovuta all’attenzione maniacale e all’importanza che viene data ai particolari.
Quando si deve contestualizzare qualcosa all’interno di un periodo storico, o di un certo ambiente specifico (medico, poliziesco, etc…), ciò che fa la differenza, che ci da più l’idea di verosimiglianza e che ci fa sentire più vicini a un’opera, sono proprio i particolari, che fungono da involucro perfetto, che dona nel complesso, seppur con una veduta superficiale, un senso di linearità e coerenza. Ritengo “Dear My Friends” l’emblema di tutto ciò e il drama che più di tutti quelli del suo genere, mi rimarrà nel cuore.

La cosa che ho amato e che ha donato il massimo realismo ai personaggi e alla storia è stato la contestualizzazione veritiera del loro passato, che viene mostrato tramite diversi flashback: la loro, è una generazione che ha vissuto la divisione della Corea nel ’45, la guerra di Corea nel ’50, che fino alla fine degli anni ’70 ha vissuto nella miseria, in uno dei paesi più poveri al mondo, che ha subito la dittatura fino all’87, e che poi è stata protagonista di un boom economico (che ha portato a conseguenze non del tutto positive, per via del suo sviluppo repentino).
Sono persone che hanno vissuto sulla loro pelle le difficoltà del caso e che a oggi si confrontano con le nuove generazioni, e con loro stessi, nel mondo attuale, che offre molte più possibilità rispetto alla loro giovinezza.
Un mondo che non c’entra più nulla con quello in cui sono cresciuti, ma che al contempo mantiene ancora vive determinate mentalità e tradizioni, che sono molto più lente nel mutamento rispetto alla situazione economica.
Nonostante capiscano che alcune questioni non dovrebbero più essere sopportate, che ora non si può più far finta di nulla e voltare le spalle, fanno parte di una generazione in cui l’omertà sembra intrinseca nel loro essere, come un tatuaggio che non si può in alcun modo cancellare.
Un vero e proprio marchio di fabbrica di una popolazione che in altri tempi doveva innanzitutto preoccuparsi di mantenersi in vita, affrontando un giorno alla volta, vista l’estrema povertà, mentre tutto il resto erano solo “mali minori” che in qualche modo andava bene subire, perché “non ci si poteva lamentare, dato che almeno si era vivi”.
D’altronde non è una novità che, nella povertà estrema, avvenga l’annullamento dei diritti e della dignità umana, e che si arrivi a una semplificazione e una scarnificazione dei valori, dettata dalla necessità primaria di “tirare avanti”, e che, al contrario, con l’aumento della qualità della vita, la società apra gli occhi sui problemi che ostacolano un vivere più civile, e di conseguenza riesca a prendere coscienza del fatto che ciò che prima poteva essere ritenuto normale, ora può essere persino considerato un crimine, come la violenza domestica, ad esempio.
I temi
I temi che affronta “Dear My Friends” sono molteplici e non ce n’è uno su cui ci si potrebbe focalizzare più di altri, poiché proprio come la vita, le cose accadono senza un ordine preciso, senza motivo, senza poterle prevedere e senza che ci sia un grande disegno superiore che ti vuole impartire una lezione.
Tramite la storia di ogni personaggio viene mostrato un lato diverso della vita. Dalla malattia e a come ognuno la affronti in modo diverso, al modo in cui si affronta la morte; dal suicidio, al modo in cui si interagisce con i propri figli; dal senso del matrimonio e dello stare insieme da sempre, alla disabilità e come viene percepita; dalla violenza domestica, al rapporto con i propri genitori anche quando si invecchia; dall’affermare se stessi come persone e non come ruoli da dover ricoprire, al divorzio.
E poi ai temi più classici, come la famiglia (nel senso più ampio del termine, quindi non solo di sangue) e l’amicizia, quella vera che dura da tutta una vita e che affronta ogni sorta di difficoltà, di prova, di gioia, e nonostante muti, alla base non cambia mai.






Per quanto poliedrico nei temi e nelle lezioni di vita che offre, e forse proprio per questo, l’intero drama può essere materializzato e può trovare un suo sunto perfetto in un dialogo tra la protagonista Park Wan e sua nonna, in cui la nipote le chiede: “Se dovessi descrivere la vita in una frase, cosa diresti?” e la nonna le da una risposta di un’ovvietà e di una bellezza incredibile: “Non c’è molto da dire in realtà.” – “Ma così la vita non è troppo triste?” – “Se non c’è molto da dire, cosa c’è da essere tristi? Non c’è granché da dire, quindi la mia non è poi così male. Dovrei solo pensarla così.“
La vita si spiega semplicemente da sé, vivendola, non c’è molto altro da dire in effetti, proprio come dice nonna Ssang Boon.
Il messaggio
Premettendo che, soprattutto in questo tipo di opere, ognuno coglie messaggi differenti, questo è all’incirca quello che è arrivato a me.
Dal momento in cui si nasce, si sa che si dovrà morire, quindi fin dall’inizio la vita stessa è strettamente collegata alla morte. Questo pensiero tuttavia può apparire sempre molto astratto e lontano, come se nella realtà dovessimo vivere per sempre.
Il fulcro centrale della storia è proprio questo: come ognuno dei personaggi affronti quella che è l’ultima fase della vita, quella della così detta terza età, e si fa sempre più chiaro, procedendo con gli episodi, che ognuno ha una percezione della morte e un modo di affrontarla completamente diverso, a partire dalle paure che il pensiero della morte stessa può far scaturire, alle preoccupazioni per chi verrà lasciato indietro.
Si affronta a 360 gradi cosa voglia dire invecchiare, sia per noi stessi, sia per le persone che abbiamo accanto, sia per la società.

La cosa meravigliosa di questa serie è che, sebbene ci siano molti momenti tristi e toccanti, ce ne sono altrettanti che sprizzano una marcata vitalità, una volontà di vivere quasi violenta, che fa venir voglia di affrontare ogni situazione a testa alta, anche la più aspra e amara.
Non si è mai troppo vecchi per l’amore, per fare nuove esperienze, per allargare le proprie vedute, per cambiare se stessi e il proprio modo di vivere, per mettersi in gioco con qualsiasi aspetto della vita, perché nonostante le tante esperienze che si possono aver vissuto e la diversa consapevolezza di sé stessi e del mondo, in realtà non si finisce mai di imparare e di conoscere ciò che ci circonda. Non è mai troppo tardi per meravigliarsi, per sentirsi impacciati, per arrabbiarsi quando qualcosa non ci sta bene, non cedendo il passo al “ma tanto ormai…”.
Il finale
Il finale è uno dei più belli e soddisfacenti che abbia mai avuto il piacere di vedere in un drama. C’è da considerare innanzitutto che, quando vengono presentate questo tipo di storie slice of life, è difficile impacchettare per bene un finale, poiché è una storia che descrive la quotidianità e, ipotizzando di guardare al di là della sceneggiatura, i personaggi continuano la loro vita anche dopo la fine del drama, esattamente come hanno già vissuto quella parte della vita che è stata solamente accennata a tratti attraverso i flashback.
Quindi, si può parlare di finale vero e proprio in questi casi? Secondo me è sempre complesso riuscire a donare una conclusione che dia soddisfazione allo spettatore, senza rischiare di lasciare troppe questioni aperte o, al contrario, senza dare una sensazione di chiusura totale della storia. L’equilibrio perfetto sta nel concludere gli eventi a cui si è dato il via all’inizio dello sceneggiato, lasciando ampio respiro all’immaginazione di tutto ciò che è plausibil avvenga nel futuro che non si vedrà.

Ecco perché reputo che il finale di “Dear My Friends” sia perfetto: considerando l’evoluzione dei personaggi, i rapporti tra loro e gli avvenimenti negli episodi, si può dire che siano riusciti a imbastire una conclusione che non desse la sensazione di “fine”, bensì di una realizzazione personale e di una presa di coscienza di ognuno di loro che si protrarrà nel tempo, da quel momento in poi. Tutta la coralità e la vitalità che già sono parte del drama, nella parte finale esplodono come meravigliosi fuochi d’artificio.
*Ovviamente non vi ho descritto cosa accade nello specifico, altrimenti vi toglierei tutte l’emozione con cui merita di essere vista, però l’immagine è sufficiente per lasciare la stessa sensazione di pace.