“Our Beloved Summer”: l’arte del conoscersi. Connettersi con gli altri anche per comprendere noi stessi

In quanti hanno avuto l’opportunità di tornare sui propri passi, di riflettere su loro stessi, di farsi un esame di coscienza, e di riuscire a cambiare o accettarsi per quel che si è?

La serie sud-coreana “Our Beloved Summer” (visibile su Netflix) ci accompagna e ci fa immergere in questa consapevolezza ritrovata, in questo risveglio, che possono rientrare tra quegli eventi definibili “miracoli quotidiani”, perché quando accadono sembrano processi naturali, quasi scontati, ma se ci si sofferma a riflettere sopra, ci si accorge di quanto siano complessi e faticosi da portare a compimento.
A volte, più semplicemente, si procede senza farsi domande, ma allo stesso tempo si avverte (anche inconsciamente) che quelle stesse domande che stiamo evitando sono sempre lì, e ci chiamano, e vogliono trovare la propria soluzione: ciò può portare a un costante stato di malessere o disagio.

Ma “Our Beloved Summer” ci accompagna e ci fa immergere anche in un altro di questi così detti “miracoli quotidiani”, quello dell’amore, e più precisamente del primo amore, che spesso non rimane fine a sé stesso, ma è un potente spunto per imparare a conoscersi più a fondo e scoprire nuovi lati della propria personalità.
In quanti lo hanno provato? Chi prima e chi poi, chiunque. In quanti hanno avuto la fortuna di vivere questo primo amore, potendo esprimere i propri sentimenti e finendo insieme alla persona amata? Credo già molti meno. E in ultimo: se a un certo punto questo amore è finito, in quanti hanno avuto la possibilità di riallacciare il rapporto dopo anni dalla rottura (oltretutto avvenuta in brutti termini)? Ancora meno di quelli prima, sicuramente.

D’altronde i drama sono fatti anche di queste improbabilità, e ci piacciono per questo, perché alla fine improbabile non vuol dire impossibile, e nel momento in cui una cosa la si può immaginare perché verosimile, allora si riesce a materializzare quella situazione, a immedesimarsi, a sentire sulla propria pelle le emozioni che vuole trasmettere. In più, una scrittura realistica, con i piedi per terra e asciutta come quella di “Our Beloved Summer”, porta i personaggi e le storie che li riguardano a risultare senza forzature e insensatezze (contraddizioni forse sì, almeno per quanto riguarda l’atteggiamento dei personaggi, perché quelle fanno parte dell’essere umano, e mostrarle sarebbe del tutto realistico).

Indice

Trama e struttura

il drama si avvia con il mostrarci la storia di un ragazzo, Choi Ung, e una ragazza, Kook Yeon-su, che si conosco negli anni dell’adolescenza, a scuola: durante le riprese di un documentario che si trovano costretti a girare insieme, i due si innamorano, nonostante un primo impatto totalmente negativo. Lei parteciperà come la più brava della scuola e lui come quello con il punteggio peggiore.

Poi li ritroviamo dieci anni dopo, oramai adulti: ognuno ha preso la propria strada, ma una qualche forza maggiore sembra volerli far rincontrare. I video del programma/documentario a cui avevano preso parte da ragazzi diventano (inspiegabilmente) virali dopo tanti anni, come accade effettivamente per tante cose che si trovano in internet, strumento capace di “rispolverare” anche cose ormai cadute nel dimenticatoio.
A questo punto, notando il ritorno di successo del programma di dieci anni prima, i produttori propongono a entrambi di parteciparvi di nuovo, per mostrare alla gente come sono diventati: cercano di convincerli tramite il migliore amico del protagonista, Kim Ji-ung, che è un regista televisivo e, nel caso, si occuperebbe personalmente delle riprese. Anche se con molta riluttanza da ambedue le parti, alla fine acconsentono: tramite questa convivenza forzata, l’ex coppia (ma anche tutti gli altri personaggi che gli ruotano attorno) avranno modo di affrontare una volta per tutte ognuno i propri demoni e di scendere a patti con essi.
Insomma, appare chiaro che se non si chiude con il passato come si deve, prima o poi esso ti viene a cercare e ti chiede il conto, con tanto di interessi.

Un aspetto tecnico che ho apprezzato moltissimo e che mi ha tenuta in trepidazione fino alla fine è stata la struttura della sceneggiatura: come dicevo, si parte subito con loro due adolescenti, in cui ci viene data un’infarinata sul carattere di entrambi e sulle dinamiche del loro rapporto, poi si viene sbalzati dieci anni avanti e si continua con il presente.
Man mano che la storia va avanti, ci vengono mostrati numerosi flashback del passato, da quando stavano girando il documentario a scuola, a quando poi si sono messi insieme, fino alla loro rottura cinque anni dopo, e anche oltre, per mostrare come avessero reagito alla cosa e che strada avessero intrapreso dopo la separazione. Ma questa struttura non riguarda solamente loro due, bensì anche Ji-ung e il rapporto di amicizia con Ung: vengono spesso mostrati flashback di loro fin da piccoli quando si sono conosciuti, fino ad arrivare ai tempi dell’adolescenza, in cui entrambi si innamorano di Yeon-su, e poi ancora più avanti quando la coppia si lascia e Ji-ung rimane accanto all’amico ferito che sta cercando di riprendersi dalla rottura.

In pratica, sul piano narrativo, fino all’ultimo si scoprono non solo nuovi elementi del presente che è in avvenire (e che quindi è normale che si rivelino man mano), ma anche elementi del passato, compresi quelli importanti e decisivi, per cui non si finisce mai di conoscere aspetti che riguardano i personaggi e i rapporti che li legano.
Questa struttura ha senz’altro donato un’immensa freschezza al racconto che non si svolge linearmente e che non dona le informazioni a pacchetti (prima passato, poi presente), per cui si avverte sempre una certa dose di adrenalina, perché non si sa mai quale nuovo elemento salterà fuori. Quando non c’è certezza dello svolgimento degli eventi, anche in una semplice storia d’amore e di crescita, si riesce a tenere alta l’attenzione dello spettatore, quasi fosse un thriller.

Anche sul piano tecnico ed estetico, viene ricalcato ciò che già è largamente espresso dall’atmosfera generale dell’opera e delle musiche (di cui parlerò nel paragrafo successivo): la calma e l’occhio estremamente attento attraverso il quale la telecamera ci mostra il mondo di “Our Beloved Summer”, rende il tutto ancora più immersivo e suggestivo. I colori sono più caldi e delicati nella parte del presente, tendenti alle tonalità del marrone, quindi più autunnali, mentre più vibranti e vivaci nel passato, tendenti al verde in particolar modo, quindi più estivi: questa fattore sicuramente non è un caso, soprattutto se si pensa al titolo del drama e al suo significato. “Our Beloved Summer”, letteralmente “La nostra amata estate”, indica sì l’estate in cui si sono innamorati, ma anche, più in generale, l’estate come stagione legata all’adolescenza, periodo colmo di prime volte, e per questo così vivo nella memoria dei più.
Questi colori richiamano da una parte la fase “adulta” della vita, quella meno spensierata, e rappresentano la chiusura dei personaggi rafforzatasi negli anni e nelle difficoltà, che porta a una nostalgia di fondo, a uno stato di rimorso perenne, e dall’altra la loro parte più ingenua, infantile e gioiosa, che riemerge man mano che i problemi che li affliggono, si attenuano e si risolvono uno a uno.
Più avanti ne parlerò meglio, ma tutto questo non fa altro che enfatizzare un aspetto in particolare: il grande rispetto per gli altri. Dato che effettivamente quando si racconta una storia, si sta parlando della vita di qualcun altro, seppur di un personaggio inventato, credo che sia molto bello quando chi si trova dietro la cinepresa mostra un certo “pudore” e un certo “limite” nel raccontare i meandri più intimi di quel qualcuno. E’ questo che intendo per rispetto degli altri, ed è per questo che più avanti ho voluto dedicare a questo aspetto un paragrafo a sé.


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Ost e atmosfere

La scelta dei pezzi è ben mirata e volta a donare un’atmosfera generalmente malinconia, ma non sempre e non per forza con accezione negativa: a volte la malinconia porta con sé il piacere di rivivere momenti che ci mancano proprio perché bellissimi, quindi le sensazioni piacevoli riaffiorano insieme ai ricordi e lo stato in cui ci si ritrova è essenzialmente di benessere.

Poi ci sono pezzi più ritmati e allegri che tendono a enfatizzare la parte più infantile, pura e ingenua dei protagonisti e dei loro atteggiamenti, elemento che spesso è stato causa di battibecchi e discussioni su delle vere e proprie stupidaggini (come accade davvero sia tra amici, sia in una coppia): dalla mia esperienza, sono molte più le volte che si discute o litiga partendo da argomenti superficiali, piuttosto che su questioni serie.

Qui lascio l’ost: il medico mi ha detto che va ascoltata una volta il giorno, perché è come la mela, lo toglie di torno.

Guardando al quadro generale, sia che si prendano in esame i brani più lenti, velatamente tristi o romantici, o quelli più dinamici e vitali, sono tra le ost più evocative, suggestive e azzeccate che abbia mai ascoltato in un drama: si adagiano sulla serie come una coperta, che dona ancora più calore ad una storia già calda e avvolgente di suo.

Un’ode particolare, per quanto mi riguarda, va al pezzo di apertura (o sigla che dir si voglia), “Our Beloved Summer” di Kim Kyung-hee: al primo episodio sono rimasta estasiata dalla grazia sia delle immagini, sia della sonorità della canzone. Dopo la prima, ogni volta che iniziava un episodio e si avviava la canzone con quelle immagini, il mio cuore perdeva un battito. Già si pregustava le profonde emozioni che avrebbe provato nell’episodio che stava venendo, sentiva già quel retrogusto dolce-amaro di cui l’intera storia è intrisa, e nel frattempo si lasciava cullare dai ricordi degli episodi già visti. Per questo a ogni episodio che mi sono lasciata alle spalle, la sigla ha assunto sempre maggiore profondità e significato, e mi ha emozionata ogni volta di più. Nell’ultimo episodio ha assunto quasi una nota di tristezza: ammetto che non volevo che il drama terminasse, e per questo ho capito che è finito nelle tempistiche giuste. Quando una cosa finisce e ti lascia la voglia di vedere altro, e tuttavia non ti lascia un senso di incompletezza, vuol dire che era il momento giusto per terminarla.

Se comunque, come me, non ne avete ancora avuto abbastanza, lascio l’opening in modo da potervela godere di nuovo e quante volte volete, anche in loop.

TRADUZIONI

In più, piccolo regalo, lascio le traduzioni di alcuni pezzi dell’ost: ovviamente, essendo tanti brani, non potevo tradurli tutti, quindi ho scelto quelli che mi sono piaciuti di più e che riascolto più volentieri, con la speranza che almeno qualcuno combaci con i vostri gusti.
Tra questi troverete anche “Christmas Tree” di V (dei BTS), amico intimo dell’attore protagonista del drama, Choi Woo-shik.

Buon ascolto e buona lettura!

L’importanza della comprensione e dell’accettazione di noi stessi

La storia narrata in “Our Beloved Summer” è l’ennesima riprova del fatto che prima di stare bene con gli altri, bisogna stare bene con sé stessi, altrimenti i rapporti sono destinati miseramente a fallire, soprattutto quelli d’amore in cui il livello di intimità e condivisione è massimo.

Per questo, più che definirlo un drama che racconta una storia d’amore e di amicizia, direi che è un drama che racconta del viaggio dentro sé stessi e della comprensione del proprio io, anche tramite l’amore e l’amicizia. Perché alla fine il modo migliore per capirsi è attraverso i rapporti che si hanno con gli altri, che fungono un po’ da specchio, da cartina tornasole.

Avere la possibilità di ripercorrere le stesse orme del passato è una fortuna rara. Soprattutto dopo essersi rincontrati, entrambi i nostri protagonisti cercano di capire cosa fosse andato storto anni prima: quale fosse il motivo, ad esempio, del forte disagio per Yeon-su, o la ragione del passivismo esistenziale per Ung.
Se è vero che anche dopo dieci anni loro due erano cresciuti meno di quello che sembrava esternamente, e le loro dinamiche erano rimaste più o meno invariate, allora come sono riusciti a far funzionare le cose la seconda volta? Sicuramente è stato l’atteggiamento verso sé stessi, più che verso l’altro, a evolvere man mano che erano tornati l’uno nella vita dell’altra, perché la vicinanza reciproca li ha fatti mettere continuamente in discussione: questa volta, di fronte alle difficoltà, non sono scappati, non tanto dall’altro, quanto piuttosto da loro stessi, e finalmente hanno affrontato il proprio io. Finalmente hanno guardato cose che per anni non avevano voluto vedere, hanno sentito cose che non avevano voluto ascoltare, hanno dato spago a sentimenti che avevano cercato di soffocare.

Alla fine il loro rapporto non è diventato “perfetto”, né tanto meno i loro difetti come individui sono spariti, tuttavia il percorso personale che ognuno stava affrontando li ha fatti arrivare a una consapevolezza tale da voler stare finalmente bene in primis con sé stessi, a voler stare in pace con i mostri che si portavano dietro da anni, a voler apprezzare o a voler convivere con i lati del loro carattere che trovavano insopportabili e frustranti, a non voler sentirsi più vittime della vita, o sbagliati, o di troppo, o dei meri sostituti, e di conseguenza tutto questo li ha aiutati a non sfogare i sentimenti negativi (più o meno repressi o consapevoli) sul proprio partner. A sentire quindi, in ultimo, che essere nella loro pelle era piacevole e che avevano il diritto di apprezzarsi e di essere apprezzati, di amarsi e di essere amati: la serenità che deriva da tale presa di coscienza non troverà mai macigni abbastanza pesanti da riuscire a schiacciarla.


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Temi affrontati

“Our Beloved Summer” ci narra sapientemente la dolcezza del primo amore che si realizza, ma anche l’amaro che lascia quando questo amore, nel frattempo diventato maturo, si sgretola e sfugge tra le dita.

Ci racconta della gioia di amicizie che durano da una vita, ma anche della frustrazione che sta tra il voler bene a quest’amico e il constatare continuamente che lui ha ciò che tu non hai, e che quindi hai sempre desiderato. Ci parla dell’ebrezza e della sfarzosità di una vita piena di successo, ma anche della desolazione nel non aver mai avuto nessuno accanto con cui condividerlo. Ci descrive primi amori reciproci e palesati, altri mai espressi e soffocati per sempre, e altri ancora in ritardo con i “tempi soliti”, ma che assumono ben presto la forma di una calorosa amicizia, perché in fin dei conti quello di cui si aveva bisogno era di un “semplice” ma reale contatto umano.

Ci fa partecipi di diversi tipi di famiglia, ognuna come tante altre, e proprio per questo così care, perché “Our Beloved Summer” ci porta proprio lì, nel luogo speciale che si cela nelle storie e nelle persone usuali: se osservati fin nelle loro fondamenta, questi nuclei famigliari nascondono la tristezza o la gioia di qualcuno e racchiudono l’essenza della vita di qualcun altro. Descrivono ciò che non si vorrebbe mai diventare, o al contrario l’esempio che si vorrebbe seguire. Sono la disperazione per qualcuno, o la fonte di orgoglio per qualcun altro. Per qualcuno sono il punto di forza, per altri il punto debole.

Vediamo una nonna che cresce la nipote con più amore di quanto abbia cresciuto i propri figli; genitori che anche dopo aver perso un figlio, non si abbattono e trovano la forza di amare di nuovo e di amare con tutti loro stessi, adottando un bambino che invece era stato abbandonato dal proprio padre; madri che non hanno la forza di affrontare il loro ruolo da genitore e lasciano che il figlio cresca in balia di sé stesso.
E poi ci sono le famiglie che ci si crea crescendo, quelle formate dagli amici cari, dalle persone amate, dai colleghi con cui si lavora da anni. E come saremo in grado di creare questi rapporti da adulti? In base a ciò che abbiamo imparato crescendo sulle relazioni, sul ricevere e dare affetto, sul come dimostrarlo, sul come ricevere e dare fiducia e rispetto, sull’importanza della comunicazione, dell’espressione dei propri pensieri e punti di vista.
E se abbiamo avuto delle mancanze, come saremo in grado, da adulti, di sopperire a esse? Ce la faremo, o non faremo altro che voltarci dall’altra parte e far finta di non vederle? Ma questo nostro scappare ed evitare, quanto potrà durare? Questo drama non vuole dare risposte assolute, bensì mostrare realtà differenti da cui derivano differenti punti di vista e differenti atteggiamenti, ognuno con i suoi lati positivi e negativi.

Parlando più nello specifico del rapporto tra Yeon-su e Ung, invece, non so se a voi sia mai successo, ma a me spesso capitava, soprattutto quand’ero adolescente, di immaginare l’amore della mia vita, quello ideale, quello che sarebbe durato al di là di ogni imprevisto e di ogni pronostico: quell’amore me lo immaginavo sempre ritornare dopo essere nato ed essersi bruscamente interrotto.
Perché questo scenario? Perché nella mia mente non c’era nulla di più romantico di due persone che non si dimenticano l’un l’altra anche dopo anni di separazione. Quello che ho capito però crescendo è che non c’è nulla di romantico nelle separazioni, fanno solamente male (per quanto, col senno del poi, si possano sempre ricavare preziose lezioni di vita da esse).
Tuttavia, per quanto ciò sia indiscutibilmente vero, Ung e Yeon-su non mi hanno solo ricordato quanto sia doloroso dirsi addio: il loro rapporto mi ha anche ricordato quanta dignità si possa mantenere nel perdere qualcuno che si ama e a volte anche sé stessi. E’ vero, non sempre questa dignità ripaga o porta da qualche parte nel rapporto con gli altri, ma se c’è una cosa che può aiutare a tornare in piene forze dopo una rottura vissuta con sofferenza è l’aver trovato in noi stessi la forza di reagire, e per questo la dignità è tanto importante: perché è qualcosa che non ti può regalare nessuno, è qualcosa che devi coltivare in te, alimentandola in solitudine (contemplativa, si spera).


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“Il triangolo no, non è stato considerato!”

Un altro degli aspetti che maggiormente va secondo me enfatizzato e che mi ha fatto amare questa serie, è la dinamica dei due “triangoli mancati”, come li ho soprannominati io, quelli che comprendono Ji-ung e NJ.

Ji-ung e il suo amore a senso unico per Yeon-su, che va avanti dai tempi del liceo, esattamente come per l’amico: questo sentimento non ha ricoperto un ruolo importante nel rapporto della coppia principale, non è stato un ostacolo, e non è stato “utilizzato” dalla protagonista per far chiarezza nei propri sentimenti per poi rifiutarlo malamente. Nessuno ha “gareggiato” con nessuno per il cuore della ragazza, né si sono mai battuti come “animali che si litigano la femmina”. Insomma, nessun momento imbarazzante o inutilmente macho. Qui la cosa importante è stata il percorso assolutamente personale e totalmente intimo del personaggio: ha dovuto imparare negli anni a scendere a patti con i propri sentimenti per la ragazza del suo migliore amico, di cui però si era innamorato per primo. Ha dovuto imparare a trattenersi costantemente, anche nei momenti di totale debolezza e fragilità, in cui si avrebbe voglia di appoggiarsi o confidarsi con la persona che si ama. Ha dovuto obbligarsi a tenere lontana Yeon-su per il profondo rispetto che lo lega da sempre al suo caro amico. Ha cercato sempre di nascondere questi sentimenti anche e soprattutto a Ung, perché aveva paura della sua reazione e di perderlo: nonostante i sentimenti a volte contrastanti che lo legano al migliore amico, sa anche perfettamente che è l’unica persona nella sua vita che può davvero considerare la sua famiglia.

E che dire invece di NJ? Anche in questo caso, all’interno delle dinamiche di coppia di Ung e Yeon-su, NJ non ha mai realmente voluto rappresentare una minaccia: i suoi sentimenti si mostrano importanti soprattutto per lei stessa, perché è forse la prima volta che prova qualcosa di così forte, tanto da poterlo chiamare il suo primo amore. Considerando la vita isolata che aveva condotto fino a quel momento, non è così difficile immaginare che non avesse mai avuto modo di innamorarsi davvero, non finché non è riuscita a stringere un legame reale. Una riprova dell’importanza che hanno questi sentimenti per lei, è il fatto che non si rattrista nemmeno troppo quando Ung la respinge, proprio perché per lei è innanzitutto un privilegio e una gioia il solo poter provare quei sentimenti: il solo fatto di esistere, li rende preziosi, quindi sceglie di viverli positivamente, a prescindere dalla decisione della persona per cui li prova. Questo non significa che sia contenta di essere stata respinta, ma nella sua visione delle cose e per come ha condotta la vita fino a quel momento, sicuramente il suo primo pensiero è quello di viversi al 100% questi sentimenti e di godersi appieno questo momento in cui li sta provando.


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Dramma sì, ma senza eccessi

Come ho accennato poc’anzi, la sensazione che maggiormente ho percepito da questa serie è una grande forma di rispetto verso i sentimenti altrui, e non parlo solamente di quello che si mostrano i personaggi tra di loro: anche quando si scoprono i lati più intimi di ognuno, sul piano narrativo non si ha mai un senso di “invasione dello spazio”.

Vengono dette le cose necessarie, ma non vengano mai date spiegazioni ridondanti: quello che è accaduto nel passato o i sentimenti che si sono provati non vengono mai mostrati per giustificare quello che i personaggi sono diventati, quindi troppe spiegazioni sarebbero sembrate superflue.
Le cose vengono semplicemente dette per quelle che sono (eventi o sentimenti che siano), talmente tanto che a volte si potrebbe arrivare a pensare “Solo questo? Non c’è altro?”. Ma la vita è davvero così: le cose accadono, e le persone sono libere di reagire in qualsiasi modo, perché non c’è un giusto e uno sbagliato a prescindere, e non c’è nessuno schema che dica che bisogna per forza agire o reagire in un dato modo a una data esperienza.
Sul piano narrativo, questo approccio può apparire poco “romantico” o di scarso impatto quando si imbastisce una storia da mostrare al pubblico, ma per come la vedo io, in un’opera di stampo slice of life come questa è esattamente il contrario, e “Our Beloved Summer” lo dimostra alla grande: più il tutto appare reale e più è potente emotivamente, perché lo spettatore riesce a immedesimarsi meglio. Quindi l’essere scarni e sobri in questo tipo di racconti, ripaga senz’altro.

Per fare un esempio pratico del discorso: per quanto riguarda Yeon-su, la sceneggiatura non carica troppo la mano sulla morte dei suoi genitori, anzi, non ci si sofferma quasi per nulla, quanto piuttosto ha fatto del suo rapporto con la nonna (che a quel punto è diventata tutta la sua famiglia) il fulcro dell’evoluzione del personaggio, almeno fino a che non ha incontrato Ung.
In moltissimi altri drama, il fatto di essere orfana e di essere cresciuta dalla nonna, avrebbe avuto molto più peso narrativo e ci avrebbero costruito una storia dietro, magari molto commovente o persino ricolma di tragedia, ma in questo caso questa premessa è venuta quasi del tutto a mancare.

Stessa cosa per quanto riguarda l’abbandono di Ung da parte del padre biologico, o la morte del figlio naturale dei suoi genitori adottivi: per il ragazzo, come vedremo, quell’abbandono e ancor più l’essere un “sostituto” (pensiero perpetuo del personaggio), sono eventi che stanno alla base delle sue insicurezze e paure, tuttavia narrativamente parlando si è scelta la cosa più realistica. Il fatto che Ung avesse solo qualche vago ricordo del giorno dell’abbandono (ricordi tra l’altro riemersi piano piano negli anni) e che in realtà avesse capito da altri elementi di essere stato adottato, fa comprendere quanto l’evento in sé lo abbia traumatizzato più che altro inconsciamente, ma non ci hanno costruito la carica tragica attorno, poiché è senz’altro più realistico che non si abbiano ricordi particolarmente netti di quando si è piccoli. Diciamo che quando accade un evento traumatico da bambini, è molto più il cuore a ricordarlo, rispetto alla mente, quindi può condizionare la crescita, ma senza che l’individuo ne abbia per forza memoria a livello conscio.
In più si aggiunge anche il come è stata “risolta” la questione del padre naturale di Ung: senza incontri e silenzi imbarazzanti, una sola scena finale dove viene mostrato Ung che va sul posto di lavoro dell’uomo e si guardano da lontano, come a dire “So che mi hai osservato per tutto questo tempo e so chi sei, ma dobbiamo andare ognuno per la propria strada. Va bene così, io sto davvero bene ora”. Credo che sia stata una delle scene più forti e meglio riuscite della serie, perché senza bisogno di parole e in poche inquadrature, è stato racchiuso tutto il bagaglio emotivo del legame complessissimo che ci può essere tra un genitore biologico che non ha cresciuto il figlio e il figlio che sa chi è il genitore naturale, ma è cresciuto con un’altra famiglia.

Per quanto riguarda invece i suoi genitori, la questione viene mostrata a malapena, e sempre dal punto di vista di Ung, giusto per andare a implementare il perché del suo carattere remissivo e apatico. Anche in questo caso non ci viene creata intorno quella carica emotiva tragica che è piuttosto classica nei drama quando si approfondiscono i personaggi e gli si vuole dare spessore (come per giustificarli del loro carattere e per dargli “più senso”).

Anche il fatto che Ji-ung fosse innamorato da tempo di Yeon-su, non è mai stato affrontato apertamente da nessuno dei due ragazzi, nonostante alla fine Ung lo avesse capito guardando le riprese del documentario, che sembravano proprio un grido d’amore nei confronti della ragazza.
Forse per la loro estrema riservatezza, forse per non rompere gli equilibri, forse per non risultare invadenti, o forse per paura di perdere un amico e un fratello, l’argomento non è mai stato affrontato direttamente. Però appena i due tornano insieme, il primo a cui Ung lo dirà sarà proprio Ji-ung: questo gesto, anche se nascosto dal “sei il mio migliore amico, e come dieci anni fa, mi andava di dirlo a te per primo”, di fatto è sembrato un voler essere onesto con lui, proprio sapendo che l’amico era innamorato della ragazza.
Credo che Ung si sia reso conto che l’unica cosa che poteva dare all’amico in una situazione simile era la sua totale sincerità: qualsiasi altro sentimento o azione, come il provare pena, o il dispiacere, avrebbero ferito Ji-ung ancora di più.
Due grandi amici, uniti da un profondo amore fraterno, e molto rispettosi della personalità, degli spazi, dei tempi e dei modi dell’altro.


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Il centro nevralgico del drama

I personaggi sono stati la parte meglio riuscita dell’opera, e anche la più delicata e rischiosa da portare sullo schermo.

A partire dalla loro caratterizzazione, fino all’interpretazione degli attori, ogni particolare è stato perfettamente calibrato: sarebbe bastato davvero un’inerzia, una sciocchezza fuori posto, per far sembrare “Our Beloved Summer” qualcosa di già visto, di anonimo.

E ora non rimane che analizzarli in dettaglio.

Yeon-su, interpretata da Kim Da-mi: é un personaggio senza dubbio complesso e spesso frustrante, almeno all’inizio, ma non appena si impara a conoscerla meglio, si comprenderanno molti dei suoi atteggiamenti fastidiosi, freddi e scostanti. La sua introversione, la sua difficoltà nell’esprimere i suoi veri sentimenti alla persona che ama a causa di un forte senso di inferiorità che scatena un altrettanto forte orgoglio, sono aspetti che si scopriranno man mano, perché all’inizio sembra di avere a che fare con una persona semplicemente egoista e menefreghista. Andando avanti con il drama, diventerà evidente che la difficoltà nel condividere le sue preoccupazioni con gli altri, aumenta a dismisura nel momento in cui è convinta che quelle stesse preoccupazioni possano essere un peso per chi ama: meglio soffrire da sola, ecco cosa pensa Yeon-su, un po’ anche per comodità, perché non si devono dare spiegazioni, che alla lunga sfiniscono chi è costretto a darle.
In questo senso è emblematica la scena in cui piange in bagno dopo la rottura con Ung, e dopo che aveva finto con tutti di stare perfettamente bene. Emblematico anche per il fatto che quella è una delle pochissime volte in cui verrà mostrata in tutta la sua fragilità. Insomma, ammettiamolo: amare sin da subito Yeon-su è molto difficile, inizialmente appare lunatica e scontrosa, ma una volta che ci dà la possibilità di conoscerla più a fondo, la si vorrebbe solo abbracciare forte e non mollarla più.
Cruciale per comprendere il suo personaggio è una parte verso la fine della serie, quando non riesce ad andare all’esposizione di quadri di Ung a causa del malore di sua nonna: quando il ragazzo la ritrova infreddolita e rannicchiata davanti la sua porta e lei in lacrime dice che aveva paura di aver di nuovo rovinato tutto, in quel preciso istante, si avverte tutto il terrore di Yeon-su di ferire chi ama, che ora è anche maggiore del timore di soffrire a sua volta, questo soprattutto se si tratta di Ung che ha già ferito profondamente in passato.
Anche se, bisogna dirlo, quando ha lasciato Ung, non stava tanto scappando da lui, ma piuttosto da sé stessa, perché non riusciva più a sopportare quello che provava stando con lui e anche perché era faticoso, nella sua situazione famigliare ed economica, dover pensare anche a mantenere vivo il rapporto con il suo ragazzo. Anche per questo era diventato opprimente e pesante per Yeon-su sentirsi continuamente inferiori a lui che invece non aveva quel tipo di problemi, e sentirsi costantemente braccati da una verità che stava cercando in tutti i modi di seppellire, perché per lei far sapere della propria povertà alla persona che amava sarebbe stato umiliante. Sapeva che lui avrebbe cercato di aiutarla, ma lei per orgoglio non avrebbe mai potuto accettare quell’aiuto. E infine certamente voleva anche proteggerlo dalle difficoltà della vita, non voleva coinvolgerlo nei suoi problemi.
Il volersi mostrare migliori di quelli che si è di fronte alla persona che si ama, è un istinto piuttosto naturale, e la consapevolezza e il timore di poter ricadere sempre sugli stessi errori, sono stati d’animo che lei conosce bene e che la bloccheranno spesso nel dire e fare ciò che sente davvero.
Ma alla fine capirà che affrontare tutto questo e rivelare le sue verità a chi ama, è necessario per scansare la solitudine, per aprirsi al mondo e per essere più onesti con sé stessi, e di conseguenza affrontarsi e finalmente accettarsi.
Per quanto riguarda l’interpretazione di Da-mi, non ho davvero nulla su cui disquisire: lei mi era piaciuta molto già in “Itaewon Class”, nonostante il suo personaggio non mi avesse convinta molto, ma la dote recitativa e il personaggio interpretato sono due cose ben distinte. In questo caso, secondo il mio modesto parere, ha avuto più “fortuna”: si è ritrovata di fronte un ruolo scritto con assoluta grazia e tanta attenzione, un personaggio complesso nel suo essere così comune. Da-mi è stata impeccabile: lei è diventata Yeon-su e si nota fino a che punto l’attrice abbia percepito direttamente sulla sua pelle i minimi particolari del personaggio, persino quanti e quali fossero i respiri giusti da fare per esprimere tutto ciò che era impossibile far capire a parole. E da questa interpretazione mi sono innamorata di lei come attrice: d’ora in poi la seguirò con molto interesse, ma nel mio cuore Yeon-su avrà sempre un posto speciale e insostituibile, lo stesso che potrebbe avere una persona che non mi ha fatta sentire sola e incompresa.
Grazie Kim Da-mi. Grazie per averci regalato una Kook Yeon-su tanto vera e a cui possiamo sentirci tanto vicini.

Choi Ung, (interpretato da Choi Woo-shik): l’uomo dai mille silenzi.
Molto introverso, ma di sicuro più disinteressato alla vita rispetto a Yeon-su, il suo carisma e il suo magnetismo nascono dal suo animo d’artista: la concentrazione che mette nella creazione delle sue opere, escludendo tutto il resto, lo presentano come un individuo imperscrutabile. Nella realtà poi viene svelato che la sua arte per lui non è tanto un dono, quanto piuttosto l’unico mezzo che ha a disposizione per anestetizzarsi dal dolore altrimenti troppo insopportabile da reggere.
Woo-shik è stato magistrale nel riuscire a parlare con gli occhi: nonostante i lunghissimi silenzi del personaggio, nonostante la sua chiusura quasi ermetica, i suoi sentimenti sono arrivati cristallini e potenti.
Quello che forse più di tutti si rende palese è il suo terrore e quasi rigetto nel tornare con Yeon-su: per Ung, essere abbandonato senza un motivo da Yeon-su è stato come rivivere l’abbandono da parte del padre, che nonostante lo ricordasse poco, gli aveva comunque lasciato violente sensazioni negative che lo hanno condizionato negli anni avvenire. Se un evento traumatico ti accade una volta puoi in qualche modo fartene una ragione e provare, anche solo per finta, ad andare avanti, ma quando accade una seconda volta è molto più difficile: alla prima puoi dare la colpa all’altro, ma alla seconda inizi a chiederti se non sia tua la colpa per cui gli altri ti abbandonano senza nemmeno dirti il perché. Così si scatena un circolo vizioso di domande, paure e sensi di colpa che è quasi impossibile da interrompere.
Riguardo il suo atteggiamento verso la vita, Ung lo dice piuttosto chiaramente alla fine: non è mai stato intraprendente, non ha mai voluto fare nulla in particolare, non ha mai desiderato niente che non fosse una vita tranquilla, principalmente pensando che un sostituto come lui non avesse diritto a vivere una vita propria. Questo ha alimentato altri pensieri del tipo “se non fai nulla, non accade nulla, né di positivo certo, ma nemmeno di negativo”, pensieri che secondo lui gli evitavano di soffrire inutilmente.
Questo suo vivere quasi in sordina non era quindi tanto dovuto alla mancanza reale di desideri e ambizioni, quanto al fatto che sentendosi un sostituto per i suoi genitori, pensava che non eccedendo mai, sarebbe stato sempre al sicuro, perché con meno probabilità di errore e quindi di deluderli. Anche senza rendersene conto, aveva vissuto reprimendo i sentimenti che istintivamente un umano prova, e questo lo aveva portato a essere incapace di esprimerli in maniera chiara (sempre per paura inconscia di eccedere e allontanare chi aveva accanto), se non con molto disagio.



La difficoltà di riavvicinarsi l’uno all’altra, per entrambi consisteva più che altro nel fatto di non riuscire ad ammettere che nessuno dei due aveva ancora dimenticato l’altro, come se ammetterlo avesse voluto dire perdere. Questo lo si può notare dalle continue frecciatine che si lanciano, insinuando che dell’altro non gli importa nulla. Andando avanti però, piano piano le cose si sciolgono e capiscono che la vera perdita, ora che si sono ritrovati, è non poter più avere nessun tipo di rapporto senza stranezze di mezzo, propri a causa della tensione. Insomma, il gioco vale la candela? Ung si era persino esercitato nello spruzzare l’acqua e tirare il sale a Yeon-su nel caso l’avesse mai rivista, e per quanto il panico di quel momento lo abbia portato a fare esattamente quello per cui si era esercitato tanto, poco dopo si rende conto si quanto questo atteggiamento, per quanto soddisfacente da alcuni punti di vista, fosse in realtà infantile. La conclusione a cui arriva Ung è che se non ci si può nemmeno chiedere “Come stai?”, a cosa serve mantenere intatto l’orgoglio di chi ha superato a gonfie vele una rottura ed è riuscito ad andare avanti perfettamente con la propria vita, ad avere successo?

Per quanto riguarda Ji-ung (interpretato da Kim Sung-cheol), credo che il suo rapporto con il protagonista sia quello più complesso della storia. I due si conoscono da quando sono piccoli e hanno vissuto due situazioni da una parte simili, ma dall’altra diametralmente opposte: la parte simile che li accomuna è il fatto di essere stati abbandonati da uno dei due genitori (uno dalla mamma e uno dal papà), solamente che in un caso è stato un abbandono effettivo e questo in qualche modo ha permesso al bambino di ricominciare da zero, trovando una famiglia che lo accogliesse e lo amasse, dall’altra invece c’è stato un abbandono più metaforico, più simbolico, almeno fino all’adolescenza: la madre era in parte presente, solamente che ha lasciato il figlio a crescere praticamente da solo, e questo lo ha fatto sentire forse ancora più vuoto e più solo di quanto non si sia sentito Ung nell’essere effettivamente abbandonato dal padre. Ciò che ha fatto crescere in Ji-ung un senso di inferiorità, di invidia, di gelosia, e infine di frustrazione nei confronti di Ung, era il fatto che lo vedesse da sempre vivere la propria quotidianità con un’apparente fredda apatia, come se desse tutto per scontato, quando il bambino aveva tutto ciò che l’altro desiderava, l’affetto e l’attenzione dei propri genitori, e in seguito la ragazza di cui si era innamorato.
Nonostante questo però, l’invidia, la gelosia e il senso di inferiorità, non si sono mai trasformati in rancore, o ancora peggio in odio. Ji-ung è sempre stato ben consapevole della buona fede di Ung e del suo bene sincero, dato che lo aveva fin da subito incluso nella famiglia come un fratello.
In più, a rendere ulteriormente interessante Ji-ung c’è il suo attaccamento quasi viscerale alla sua telecamera, che oltre che a essere il suo strumento di lavoro, e che anzi, forse, ha scelto proprio per questo, sembra quasi esprimere attraverso di essa una rinuncia a vivere la propria vita e a ricercare la propria felicità, e una volontà a imprimere eternamente (tramite video) quelle degli altri, forse anche per farsene arrivare trasversalmente qualche sprazzo.

Infine, tra i protagonisti, abbiamo NJ (interpretata da Roh Jeong-eu): di lei ci si potrebbe chiedere all’inizio “Ma questa che c’entra con gli altri?”. Almeno, io ammetto di essermelo chiesto, perché appare come un personaggio un po’ sconnesso dal mondo dei protagonisti che si conoscono fin dal liceo, come se fosse un ingrediente che non c’entra nulla con la ricetta che si sta preparando. In effetti, secondo me, è proprio questo che vuole rappresentare NJ: un punto di rottura, una persona estranea ed esterna che riuscisse un minimo a incrinare la staticità di vecchi schemi e dinamiche, portando una boccata d’aria fresca con la sua schiettezza e la sua onestà verso gli altri sì, ma soprattutto verso sé stessa e i sentimenti che prova (elemento a cui nessuno dei tre amici più stretti è abituato).
Anche se forse ci si mette un attimo per inquadrarla, perché non si capisce fin da subito se sarà la classica figura un po’ acida e disposta a tutto pur di aver il cuore del protagonista, ben presto se ne comprenderà l’assoluta inoffensività: molto amabile, onesta, leale, sensibile, dolcissima, che della sua solitudine dovuta alla vita da idol non ha mai fatto tragedia, ma a cui, tuttavia, vuole mettere la parola fine perché quello stile di vita oramai le sta stretto e lo sente limitante.
Un altro fattore importante di questo personaggio, è che nonostante appaia più matura degli altri per il suo portamento diretto e sicuro, rientra ben presto nello loro stesso filone, quello di un’importante presa di coscienza, un percorso di crescita che in qualche modo, anche se in ritardo, li porterà a maturare davvero, a diventare davvero adulti responsabili.
Dopo aver provato il suo primo amore e forse aver trovato la sua prima amicizia (in relativa tarda età rispetto a quella che ci si aspetterebbe), ha capito a quanto avesse dovuto rinunciare nella propria vita da star. Da qui la volontà di esporsi al pubblico per quella che era, per avvicinarsi al mondo che la circonda e non per creare divisori tra lei e tutti gli altri come era stato fino a quel momento.
Per questo ho amato tanto questo personaggio: è come se, con la sua franchezza, stesse lì per spezzare una maledizione che attanaglia tutti gli altri, quella di essere tanto chiusi in loro stessi, timorosi, orgogliosi e frustrati (con questo non dico che lo siano senza ragione, tuttavia è un dato di fatto che siano condizioni che non li fanno star bene).

Per quanto concerne i personaggi secondari, non mi soffermerò anche su ognuno di loro, altrimenti ci vorrebbe un articolo a parte solo per i personaggi, tuttavia mi sento di dover sottolineare che a partire dai genitori di Ung, o dalla mamma di Ji-ung, o ancora dalla nonna di Yeon-su, fino ad arrivare alla sua migliore amica, all’agente nonché caro amico di Ung, o al capo di Ji-ung, sono tutti personaggi ben delineati, funzionali alla storia e ben amalgamati al contesto generale. Anche se i quattro protagonisti sembrano occupare buona parte del racconto con la loro storia perfettamente diluita nei 16 episodi e carica di emozioni, è tutto il resto (dai personaggi secondari, fino ad arrivare addirittura alle comparse) a fare da collante e a donare stabilità e credibilità al reticolato narrativo.


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Tanti tipi di solitudine, tante realtà relative

Parlando dei vari personaggi c’è un aspetto che ho affrontato volutamente pochissimo, perché ne vorrei parlare separatamente.
Nonostante le premesse completamente diverse dei quattro protagonisti, c’è una cosa che li accomuna e che alla fine, accomuna un po’ tutti noi: il senso di solitudine che è insito in ogni essere umano, in quanto animale pensate e cosciente di sé stesso, degli altri, della vita e di conseguenza della morte.


Per quanto un individuo possa essere ottimista e positivo nella vita, ci saranno stati o ci saranno dei momenti in cui avrà vissuto o vivrà la solutine, in cui ne ha sofferto o ne soffrirà, e infine, si spera, anche il momento quasi catartico in cui ha imparato o imparerà ad accettarla, a conviverci, e perché no, anche a starci bene.
Fatto sta che a un certo punto ogni personaggio del drama si renderà conto che la solitudine non è un dato di fatto, un qualcosa che esiste a prescindere, ma è più che altro uno dei modi in cui si percepisce la realtà che ci circonda e il modo in cui la si vive. Il senso di solitudine a volte è anche dato dall’impossibilità di riuscire a condividere con gli altri, nemmeno con le persone più fidate (anzi, soprattutto con loro), alcuni nostri pensieri, alcuni nostri lati del carattere, principalmente per paura che gli altri non li accettino e che si allontanino da noi per questo. Per cui, in un confronto tra noi stessi e questi aspetti, li vediamo come nemici invincibili perché siamo soli, non c’è nessuno a combattere con noi e i sentimenti negativi così si autoalimentano e crescono a dismisura.

Per questo, in qualche modo è come se fossimo noi stessi a renderci soli, e aprendo bene gli occhi, ci si può rendere conto di non esserlo mai stati davvero, ma di essercisi sentiti lo stesso, per l’automatismo a escludere gli altri, a non farli avvicinare troppo, perché “tanto nessuno capirebbe” o “se mi conoscessero per come sono davvero, finirebbero per odiarmi”: la verità al di là di questi pensieri è che la troppa intimità spaventa e viene ritenuta faticosa da mantenere, perché gli altri si bevono più difficilmente le giustificazioni che noi stessi ci diamo per gli atteggiamenti che teniamo, sono meno indulgenti, meno compassionevoli e meno comprensivi, ma anche se lo fossero tanto quanto noi, si ha paura che possano scaturire sentimenti come la pietà o la pena, che aumenterebbero un senso di inferiorità e creerebbero un rapporto squilibrato tra “chi dono e chi riceve aiuto” (questo lo si può evincere in maniera più violenta che negli altri personaggi, in quello di Yeon-su).
Come se non bastasse, si potrebbe pensare che non si vuole dare il peso a chi si ama di sopportare i lati negativi del proprio carattere (quando noi stessi non riusciamo a sopportarli) solo perché ci vogliono bene. La paura di essere un peso per altri, ci fa pensare che prima o poi si stancherebbero di noi e ci abbandonerebbero.
Ma tutto questo in realtà non comporta solamente l’essere meno onesti con gli altri per il fatto che non ci si apre mai completamente, comporta anche il non essere sinceri con sé stessi, perché se con indulgenza si nascondono i problemi sotto al tappeto o noi stessi nascondiamo la testa sotto la sabbia per non vedere quei problemi, allora non si potrà nemmeno affrontarli a viso aperto e risolverli, e tuttavia, allo stesso tempo, anche se solo di soppiatto, si sentirà costantemente di essere braccati da qualcosa o qualcuno, di non essere mai in pace, sereni e rilassati. Questo stato di ansia perenne si riverserà negativamente in ogni passo, ogni scelta e in ogni relazione intrapresa.

Forse è per questo aspetto, magistralmente dipinto con sobrio realismo e pragmatismo, che il drama colpisce tanto violentemente, e allo stesso tempo guarisce: ci si rende conto che la solitudine non deve essere solo intesa come qualcosa di negativo, che crea disagio, tristezza, angoscia e quant’altro ci possa essere di simile, ma che invece è un’ottima maestra di vita e amica se si vuole arrivare a trovare davvero sé stessi, a riconnettersi con i nostri pensieri e desideri più reconditi, a essere onesti con ciò che vogliamo davvero. Se quindi, per tutto ciò che è stato detto fin ora, il rapporto con gli altri può essere la scintilla che appicca il fuoco di un esame di coscienza (quello che ci porta a renderci conto di qualcosa), la solitudine può essere la legna che alimenta quel fuoco e lo mantiene vivo (il momento in cui si riflette su quella cosa, dopo essersene resi conto).

Vediamo la storia raccontata da punti di vista diversi, e ci rendiamo conto della relatività delle cose: non c’è un giusto o uno sbagliato, c’è solo ciò che è accaduto e come ogni personaggio lo ha percepito e immagazzinato nei propri ricordi. Lì per lì che qualcosa accade reagiamo in un certo modo, dopodiché, a seconda di come ricordiamo qualcosa, ne veniamo influenzati e ci basiamo su quei ricordi. Il fatto è che ognuno può ricordare lo stesso avvenimento in modo diverso, a seconda dei propri sentimenti e dei propri pensieri di quel preciso istante, o di come eravamo stati fino a quel momento.
In conclusione, sì, tutti i personaggi sono accomunati da un senso di solitudine, ma per ognuno è diversa, quindi anche il modo per scacciarla o per arrivare a viverla positivamente sarà diverso.

Per Ung il vero punto di svolta arriva proprio alla fine secondo me, quando chiede alla mamma di portarlo con loro in quella vacanza che fanno solitamente ogni anno nei giorni dell’anniversario della morte del figlio. In quel momento crollano tutti i castelli di sabbia che aveva costruito negli anni: con quel solo atto di sincerità, facendo capire ai genitori che lui ha sempre saputo di essere stato adottato, ha potuto essere finalmente se stesso con loro a 360°, si è sentito di poter essere un figlio a tutti gli effetti, con il proprio carattere e le proprie debolezze.

Per Yeon-su il punto di rottura avviene nel momento in cui deve decidere di trasferirsi con Ung in Francia: in quella riflessione lunga e sentita, sente finalmente di non essere mai stata sola, perché ha sempre avuto tante persone accanto che le vogliono bene e che le hanno sempre porto una mano, solamente che le sfortune della vita l’hanno continuamente portata a vedere nero anche ciò che era bianco o colorato.

Per Ji-ung il momento cruciale è senza dubbio quando si confronta con la mamma: dato il suo atteggiamento di una vita nei confronti del figlio, non ci sarebbe stato nulla di strano nel volerla odiare fino alla fine, anche se stava morendo. Eppure, in quel frangente, più che il sentimento di disprezzo nei suoi confronti, Ji-ung sente il desiderio di potersi godere un rapporto “normale” con lei prima che sia troppo tardi, perché alla fine l’unica cosa che lui ha sempre voluto è stata questa: avere una mamma che gli mostrasse affetto e che lo trattasse come un figlio. Poter definire finalmente il rapporto che aveva con lei come quello tra madre e figlio, quando era sempre stato molto vago e distante, gli ha donato un senso di pace che non aveva mai provato prima, probabilmente. Infatti, solo alla fine, decide di svestirsi dei panni del regista e di vestire invece quelli del protagonista, insieme alla madre, di un documentario dove si racconta e racconta del loro rapporto genitore-figlio.

Per NJ invece è senz’altro fondamentale il momento in cui si trova a doversi raccontare tramite un documentario: non le rimane che scegliere se impostare il tutto su un copione ben preciso, come aveva fatto fino a quel momento nella sua vita, o se mostrarsi per chi era davvero, senza i veli e la patinatura del successo. Decide infine di rivelare la sua essenza più semplice, di liberarsi del tutto dai paletti soffocanti del mondo dello spettacolo e di farsi accettare così, anche con i suoi difetti.

Per concludere, a me appare piuttosto chiaro il pensiero generale del drama: non c’è rivale in amore che tenga, né tanto meno genitori assenti, o quant’altro, perché i nostri peggiori nemici siamo noi stessi. Nessun giudizio negativo esterno ci annienterà più di quanto non faccia l’idea negativa che ci facciamo di noi stessi, e niente ci isolerà di più della solitudine che sentiamo dentro, anche se attorno abbiamo tante persone a volerci bene e sostenerci. Quando si impara a combattere con il proprio io, a domarlo, ad accettarlo e infine a conviverci, solo allora si potrà essere sereni anche di fronte alle avversità della vita e a qualunque cosa gli altri pensino di noi.


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