Per il terzo appuntamento con la rubrica “Ritorno alle Origini“, ho scelto di parlare di un’opera che sicuramente non conoscerà quasi nessuno: il titolo è “Piece“, e nasce come fumetto giapponese nel 2008, dalla mangaka Hinako Ashihara (viene pubblicato in Italia nel 2010 dalla Planet Manga in 10 volumi). Dal manga, nel 2012, è stato tratto il drama giapponese omonimo composto da 13 episodi di circa 30 minuti l’uno.
Personalmente parlando, il mondo dei manga e degli anime, come credo sia stato anche per tante altre persone, mi ha fatto approdare al mondo dei live action (in questo caso, adattamenti in film di opere che nascono come anime e manga appunto), e non ero affatto a conoscenza dell’esistenza dei drama.
Il manga di “Piece” era nella mia lista di acquisti, e ancora prima di comprarlo e leggerlo, mi capitò di vedere in internet la locandina del drama. Pensando che fosse un live action come quelli che avevo visto fino a quel momento, ho cercato informazioni per scaricarlo, finché non mi sono resa conto che erano più episodi, non era un film. E’ stato così che mi sono incuriosita e l’ho guardato, senza sapere bene cosa aspettarmi e come fossero le serie asiatiche (ma essendone istintivamente attratta da amante già di quelle occidentali).
Quel primo incontro del tutto casuale, è stato provvidenziale oserei dire, dato che da lì in poi non avrei più smesso di guardare drama.
E’ per questo che tengo tanto a “Piece”, perché è stata colei che mi ha fatta avvicinare alla serialità asiatica, quindi desidero davvero che anche qualcun altro venga a conoscenza di una delle più belle storie di crescita che abbia mai avuto il piacere di leggere e vedere.
Analisi della storia e delle due versioni

Dopo il preambolo, veniamo al dunque con un accenno alla trama: la protagonista, Mizuho, è una ragazza piuttosto riservata, ma che tuttavia cerca sempre di capire gli altri il più possibile. Un giorno, durante il primo anno di università, le arriva la notizia che una sua ex compagna di classe della superiori è morta. Questo evento inaspettato le farà intraprendere un viaggio all’interno di chi la circonda e di sé stessa, riuscendo a varcare porte che non sapeva nemmeno esistessero. Questa consapevolezza, nel bene e nel male, la porterà a voler cambiare il modo in cui aveva condotto la sua vita fino a quel momento.
“Piece” non è per tutti, è una storia molto controversa, che non segue molto o anche per nulla la “volontà dello spettatore”, per cui chi è abituato a opere che hanno un certo inizio, una certa evoluzione e una certa fine, sbatterà sicuramente contro un muro.
Per mia esperienza personale, questa è una storia che si deve abbracciare pian piano, tenendo per mano i protagonisti nella loro presa di coscienza. Si deve guardare senza aspettarsi nulla, e accogliendo ciò che ci viene dato, proprio come quando si ha di fronte una persona che non si conosce e si vuole saperne di più.
Se si riesce in questo e si cerca di cogliere tutti i particolari che ci vengono più o meno mostrati, ci si ritroverà di fronte a un lavoro di fino, ben strutturato e estremamente saldo e corposo. Nella sua spiazzante onestà (e forse per questo un po’ ostica e “troppo dura” per far parte dell’immaginario shoujo più classico), tramite un’introspezione dei personaggi e delle situazioni, “Piece” scava senza pietà nel complesso animo umano, di cui tutti siamo curiosi di saperne di più, ma che molto spesso temiamo anche un po’.
Ecco, quest’opera spinge a non pietrificarsi per colpa di quella paura di sapere, per avvertendola vividamente: in effetti non è insolito che dentro lo spettatore possa salire a galla una sensazione di disagio, ma è lo stesso disagio di quando qualcuno ci sta dicendo una verità necessaria, e che tuttavia non vogliamo riconoscere e accettare. In un secondo momento solitamente il disagio scompare, per far spazio al ragionamento, alla comprensione di noi, degli altri e del mondo.
Questa storia è un continuo invito ad andare sempre a fondo, perché quando si conoscono i fatti per quelli che sono, o il vero animo di qualcuno, compreso il proprio, si può arrivare a nuovi modi di vedere le cose, a nuove esperienze, a nuovi mondi che ci sarebbero preclusi altrimenti.

Ciò che ho trovato davvero peculiare in questa serie (intendendo sia il drama, sia il fumetto) è che sebbene la protagonista sia Mizuho, ciò che porterà lei e i suoi ex compagni di classe a nuovi livelli di consapevolezza, non sarà tanto lei stessa, quanto invece la compagna appena morta, che tramite ciò che aveva fatto nella sua breve ma intensa vita, riesce a farli scontrare e a unirli come mai era accaduto prima. In questo senso, il titolo dell’opera è azzeccatissimo: le realtà che si rivelano una dopo l’altra, inaspettate, alcune molto belle, altre per nulla, saranno come tessere che alla fine, tutte insieme, andranno a costruire l’emozionante e catartico puzzle della verità, che nel bene e nel male, una volta che la si conosce, si può anche riuscire ad affrontare apertamente.
In “Piece” il conflitto, il litigio, il tradimento, la negazione, la bugia, non sono mai fini a loro stessi: prendono forma allo scopo di capirsi, di conoscersi, di stringere rapporti reali, onesti e profondi. Emerge la volontà di venirsi incontro, di aiutarsi, di far conoscere i propri pregi nascosti, e il bisogno di sentirsi liberi nel mostrare i propri lati peggiori. Perché tutti abbiamo quei difetti che tendiamo a nascondere, persino a noi stessi, e in questo senso qui si rende necessaria una verità: è fondamentale rendersi conto che ognuno ha i propri difetti e va bene così, e che solo quando se si è disposti a mettersi a nudo, i rapporti potranno essere veri, e i legami forti e duraturi.
Questa mia analisi vale per entrambe le versioni, quindi in questo caso il confronto tra le due in realtà sussiste poco: il drama ha ricalcato quasi del tutto il manga, quindi di differenze ce ne sono davvero pochissime, se non nessuna addirittura, a parte forse dei particolari che nemmeno ricordo così su due piedi. A questo punto non rimane che sceglierle entrambe o quella del media di cui siamo più appassionati.
Per quanto riguarda il drama, posso solo dire in più che il cast è stato all’altezza della complessità dei personaggi che hanno interpretato e della storia. A colpirmi in modo particolare è stato soprattutto l’attore principale, Yuma Nakayama. Quest’ultimo ha regalato allo spettatore una performance talmente intensa da rendere la visione spesso irrequieta, e indimenticabile ed eterno il personaggio che interpreta: nonostante i sentimenti contradditori che suscita per gran parte della visione, non c’è da sorprendersi se alla fine si arriverà ad affezionarsi profondamente a lui (per tutti questi motivi e anche per una caratterizzazione a tratti simile, si potrebbe accostare al protagonista del drama coreano “The Smile Has Left Your Eyes“, interpretato dal magnetico Seo In-guk, e anche l’atmosfera generale dell’opera ci si potrebbe in qualche modo avvicinare).