La prima cosa che ho pensato appena terminata la visione è stata che è sempre complesso affrontare certi temi, soprattutto se a trattarli è un’opera proveniente da un paese in cui l’esistenza di determinate dinamiche viene socialmente negata, pur essendo ben presenti, pressanti e mietendo numerose vittime. Perciò è ancora più gratificante trovarsi difronte a opere come questa che, con la loro onestà morale e intellettuale, escono completamente fuori dal coro.
Vi ho incuriositi? Ma di cosa sto parlando nello specifico, e di cosa tratta la storia di questo drama?
A breve ci arriveremo, ma prima facciamo le dovute presentazioni.
“3 Nen A Gumi: Ima kara Mina-san wa, Hitojichi Desu“, che si traduce in “Classe 3°A: d’ora in avanti siete tutti miei ostaggi”, è un drama giapponese del 2019, composto da 10 episodi di circa 50 minuti l’uno.
La storia inizia proprio come suggerisce il titolo: a dieci giorni dal diploma di terza superiore, i ragazzi della sezione A vengono presi in ostaggio dal proprio insegnante e coordinatore di classe, Ibuki Hiiragi.
Come sono solita dire, a volte i messaggi e le lezioni di vita, arrivano meglio con l’utilizzo degli estremi, e questo drama è la concretizzazione assoluta di questo mio pensiero.
“3 nen a gumi…” (lo chiamerò così per abbreviare) è un vero e proprio schiaffo in pieno viso, non di quelli che vogliono punire (anche se inizialmente potrebbe sembrare), ma che invece vogliono risvegliare da un torpore emotivo.
È un terremoto, che con violenza e lucidità porta lo spettatore, tramite un forzato esame di coscienza, a sentirsi responsabile non in quanto individuo realmente colpevole di qualcosa nello specifico, ma in quanto membro della società.
INDICE
- Addentriamoci nella storia
- Il cast
- Il Professor Ibuki Hiiragi
- Attenzione, arrivano gli SPOILER!
- Paragrafo il cui titolo è già spoiler, quindi da leggere solo se si è visto il drama
Addentriamoci nella storia
Se si vuole guardare questo drama, si deve partire dal presupposto che niente e nessuno (o quasi) sono ciò che sembrano: c’è sempre quel qualcosa in più da osservare, da scoprire, da comprendere, da analizzare, e in qualche modo lo spettatore prende parte a tutto questo.
Non è una drama che si riesce a guardare passivamente o con distacco (o perlomeno io non ci sono riuscita), perché le verità da svelare sono talmente tante e complesse che viene spontaneo farsi delle domande, fare ipotesi, cercare di intuire prima che la facciano i protagonisti stessi.
A tal proposito, la prima domanda che sorge spontanea è cosa abbia portato il professore a prendere la drastica decisione di tenere in ostaggio i suoi alunni. Si parte col teorizzare che voglia chiedere un riscatto o che abbia un disturbo psicologico, anche perché i metodi che utilizza sono piuttosto estremi e “violenti”.
Ebbene, purtroppo per i curiosi, la reale motivazione ci viene svelato un pezzetto alla volta, ed è come attendere impazienti che un pittore termini il proprio quadro, per vedere l’opera nel suo insieme. Questo aspetto quindi, non solo porta a mettere a fuoco il succo della trama molto in ritardo rispetto ai classici tempi narrativi, ma camuffa molto sapientemente il vero aspetto di uno dei temi centrali della serie.
Da questo punto di vista si potrebbe vedere la serie come una casa formata da piano terra e seminterrato: il primo è quello a cui si accede da subito, appena aperto il portone. E’ quella zona dell’abitazione che si può esplorare con la sola curiosità, ed è rappresentato dagli alunni della 3°A che vengono forzati o indotti a rivelare le loro verità e le loro paure, a mettersi a confronto con esse. Il secondo è quello a cui per accedere serve una chiave, che si trova all’interno del pian terreno, ma un po’ nascosta, per cui servirà pazienza e intuito nel capire dove questa chiave possa essere. Una volta fatto, si scenderanno dei gradini, per arrivare a stanze magari meno ospitali, più fredde, ma che possono essere considerate le fondamenta stesse della casa, e che per questo vanno esplorate con minuziosa scrupolosità per capire davvero come quella costruzione si regga in piedi. Questo seminterrato è rappresentato dalle motivazioni che hanno portato Hiiragi ad architettare questo piano, che per quanto assurdo, è del tutto necessario.
A tal proposito purtroppo non posso dire oltre, perché rovinerei la bellezza della serie, quindi ne parlerò in seguito, con l’avvertenza SPOILER (questo perché mi sembra doveroso analizzare l’opera fino in fondo).
La riuscita della sceneggiatura è dovuta anche al fatto che, mentre attendiamo lo svelarsi del mistero di fondo che permea tutti gli episodi, ogni personaggio viene ben approfondito, prendendo sempre più corpo e assumendo un ruolo fondamentale per dare vita a quante più realtà e verità possibili. E non sto parlando solo degli alunni, ma anche degli altri insegnanti, della polizia e dei personaggi più secondari. Alla fine si avverte una sinergia tra le parti (anche tra quelle più in contrasto) particolarmente potente sul piano emotivo e idealistico, il che obbliga lo spettatore a guardare le cose senza veli e senza scuse.
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Il cast
A dare man forte alla narrazione, abbiamo un cast di rilievo: a vestire i panni del protagonista, il Professor Ibuki Hiiragi, è il poliedrico e carismatico Masaki Suda, una carta vincente la cui presenza mi ha spinto a iniziare il drama.

Non credo di esagerare nel dire che è stata la sua interpretazione così vivida a rendere tanto d’impatto l’intera opera. D’altronde, anche nel caso di un drama dall’identità molto marcata come questo, la performance dell’attore principale è spesso decisiva per la riuscita dell’opera stessa.
Suda a parte, nonostante la giovanissima età di molti degli attori, troviamo delle carriere già affermate da anni, come ad esempio quella di Mei Nagano (che interpreta Sakura Kayano, altra colonna portante della storia).

A soli 21 anni, Nagano può vantare un curriculum piuttosto impressionante, avendo preso parte a svariati film e drama (anche in ruoli secondari), tra cui l’asadora(1) “Hanbun, aoi” nel ruolo principale. Personalmente la conoscevo già per aver interpretato la protagonista nel film live action del manga omonimo “Daytime Shooting Star“, in cui avevo notato una buona dote recitativa, ma nulla che potesse farmi immaginare di quanto fosse realmente capace: in “3 nen a gumi…” ha fatto splendere il suo complesso personaggio, cogliendone ogni sfumatura emotiva e caratteriale.
Moka Kamishiraishi interpreta Reina Kageyama, sulla cui morte si avvolge molto del mistero della serie. Una piccola curiosità: la sorella di Moka è Mone Kamishiraishi, altra attrice e cantante che nello scorso anno abbiamo potuto ammirare in coppia con Takeru Sato nel drama “An Incurable Case of Love“. Moka e Mone sono un esempio dei cosiddetti “geni di famiglia”: entrambe nel mondo dello spettacolo ed entrambe con dei curriculum invidiabili, sia sul piano musicale che su quello recitativo.
Nel cast dei giovanissimi troviamo anche Haruka Fukuhara (che interpreta Suzune Minakoshi), già molto nota soprattutto per i suoi ruoli principali nei drama “Good Morning call” (visibile su Netflix) e “Coffee & Vanilla“.
Altra attrice degna di nome è Miu Tomita, anche lei con una lunga lista di ruoli alle spalle, più che altro secondari, ma che senz’altro si è fatta notare per il suo ruolo da protagonista nel drama scolastico/fantasy “Switched” (visibile su Netflix).
Anche tra i ragazzi abbiamo dei volti non nuovi al mondo dei drama o dei film live action: ad esempio, Fujo Kamio, la cui ottima recitazione colpisce nella serie, da moti ritenuta controversa, “Love and Fortune” (visibile su Netflix), e che vede aggiudicarsi il suo primo ruolo da protagonista nel drama “Sakurasaku” a soli 17 anni.
Poi ancora Ryota Katayose che, nello stesso anno di “3 nen a gumi…” (2019), viene scelto come protagonista maschile nel film live action dell’omonimo manga shoujo “Kiss me at the Stroke of Midnight“, una storia romantica con ambientazione scolastica, che descrive l’amore tra una liceale e un idol più grande di lei di otto anni.
In ultimo, Jin Suzuki che possiamo vedere questo periodo nel ruolo di protagonista nella serie BL (Boys Love) “Given“, adattamento del manga omonimo.
Tra gli attori veterani, ci sono Kippei Shiina, Seiichi Tanabe e Kohei Otomo: i primi due avviano la propria carriera agli inizi degli anni ’90, lasciandosi alle spalle una lunghissima lista di film e drama, mentre il terzo avvia la carriera d’attore agli inizi del nuovo millennio (nonostante la tarda età), poiché per trent’anni (1976-2006) è stato leader della rock band Hound Dog, famosissima in patria. Altra piccola curiosità: tra i tanti progetti a cui Kippei Shiina ha partecipato c’è anche il drama “Kami no te” (ossia “La mano di Dio”), adattamento dell’omonima novel giapponese, da cui è stato tratto anche il drama coreano “Doctor John“, con il talentuoso Ji Sung (entrambe le versioni sono uscite nel 2019, quasi in contemporanea).
Nota:
(1) Gli asadora sono una tipologia di drama che si differenziano dal format classico, il quale di solito è composto da relativamente pochi episodi (dagli 8 ai 14 massimo) dalla durata di circa 45/60 minuti l’uno, e vengono trasmessi in fascia serale. Il termine asadora sta a significare “drama del mattino“, da asa che vuol dire mattino e dora che è l’abbreviazione di dorama. La grande differenza con i drama classici risiede nel fatto che gli asadora sono composti da un numero elevato di episodi (solitamente 156) dalla durata di 15 minuti l’uno e vengono trasmessi al mattino, come suggerisce il nome stesso.
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Il Professor Ibuki Hiiragi
Il personaggio del Professor Hiiragi è la colonna portante del drama: passo dopo passo cambia persino il suo senso di esistere all’interno della storia, e dal semplice protagonista, diventa il mezzo attraverso il quale si veicola il messaggio.

Assume così il compito di rappresentare un grido d’aiuto, una preghiera, una speranza, che non vuole cedere al lato superficiale e vile del genere umano.
Per fare un parallelismo con il famosissimo romanzo di Collodi, ogni personaggio è come Pinocchio che rifugge dalle responsabilità, e Hiiragi il Grillo Parlante, che impersona la coscienza di una società intera, di un’intera specie, la quale si trova a muovere passi incerti su di una lastra di ghiaccio già pesantemente incrinata e che rischia di far annegare tutti.
Con calma e pazienza ci viene mostrato un microcosmo, specchio del proprio paese e del mondo più in vasta scala, composto da questi giovani adulti, i ragazzi della 3° A, che da lì a poco andranno a formare quella parte della società considerata produttiva.
Tra le tante cose, ciò di cui ci fa rendere conto il drama, tramite le dure prove che il professore sottopone agli studenti e tramite i suoi discorsi a cuore aperto, è che per le questioni importanti, per gli ideali, per il senso di giustizia, per una società migliore, non si può aspettare che diventino del tutto adulti: i ragazzi, che vengono spesso quasi liberati dalle proprie responsabilità in quanto tali, sono essi stessi parte integrante della società, anzi ne sono le fondamenta.

Siate più responsabili per esse!
E’ quindi necessario che certi messaggi vengano veicolati già in giovane età, poiché le varie personalità si creeranno proprio nella fase di crescita, negli anni della scuola, e una volta usciti da lì saranno loro a creare le società future, e allo stesso modo saranno loro che cambieranno il corso degli eventi, in positivo o in negativo che sia.
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Attenzione, arrivano gli SPOILER!
Quando scrivo una recensione, sono solita non fare nessun tipo di spoiler, e nella prima parte ho seguito questo mio precetto, tuttavia, come accennato in precedenza, trovo riduttivo parlare di quest’opera senza andare più a fondo, soprattutto perché il tema più scottante di questo drama, e quello che che mi preme più affrontare, è esso stesso un enorme spoiler. Non avendolo potuto trattare, quindi, nella prima parte della recensione, lo affronto qui in separata sede.
Come dice Ibuki alla classe, le ragioni che lo hanno spinto ad architettare un piano tanto folle quanto significativo, sono state tre: la prima era di far uscire allo scoperto il Professor Yamato Takechi e ripagarlo con la stessa moneta dei video falsi/diffamatori, di cui erano state vittime sia l’ex ragazza del professore, sia la ragazza che si è suicidata, Reina; la seconda era far aprire gli occhi al mondo sulla violenza che inonda i social media: manovrando la situazione a suo piacimento, tramite video falsi e informazioni che cambiavano di continuo, Hiiragi ha voluto che gli utenti si rendessero conto di quanto sia facile venir trascinati da informazioni non accertate o parziali e di quanto questo fattore, se privo di occhio critico capace di osservare e analizzare, ci faccia essere in completa balia degli eventi; la terza era far prendere coscienza ai ragazzi delle proprie responsabilità e farli uscire da quella scuola davvero maturati, non tanto per il mero foglio di carta del diploma, quanto piuttosto per una reale presa di coscienza di sé stessi.
A tal proposito, dopo essersi pugnalato la mano, con il sangue che cola a terra, Hiiragi dice ai suoi studentii: “Se vieni pugnalato con un coltello, sanguinerai. Sentirai anche dolore. In alcuni casi, potresti anche morire. E’ ovvio. Ma la società di oggi non ha tempo per notare queste cose ovvie, perché si conduce una vita piena di impegni. Le cose che facciamo per ferire gli altri, se qualcuno le facesse a noi, farebbero male? Non volevo che diventaste degli adulti che non riescono a provare questi sentimenti. Usate la vostra immaginazione. Siate responsabili delle vostre parole e delle vostre azioni. Ponderate bene prima di prendere una decisione, e accertatevi se quella sia o meno la risposta giusta. Nonostante chiunque sappia che è la cosa giusta da fare, continuano a non farla! Volevo farvi capire l’importanza del pensare“.

Di temi in questa serie ne vengono affrontati a bizzeffe se si seguono le varie storie dei ragazzi e ognuna è una lezione importante, ma più di tutto lo è il rendersi conto del fatto che ogni evento è in qualche modo interconnesso, che ognuno di noi è legato a coloro che lo circondano, e che ciò che facciamo e diciamo ricadrà inesorabilmente anche sugli altri, in bene o in male che sia.
Se si guarda allo sviluppo della storia, inizialmente tutti pensano che Reina si sia tolta la vita, poi Hiiragi, tramite le sue “lezioni” in quei dieci giorni di “prigionia”, induce i ragazzi a pensare che ci sia un assassino dietro la sua morte, continuando a chiedergli chi sia secondo loro questa persona. Alla fine si scopre che Reina si era davvero suicidata, e il punto cruciale è proprio questo: perché Ibuki insiste col dire che la ragazza sia stata uccisa da qualcuno, nonostante sapesse fin dall’inizio come fossero andate le cose? Perché vuole far capire che, nonostante sia stata Reina a prendere la decisione di porre fine alla sua vita, è come se delle mani invisibili l’avessero spinta da quell’alto palazzo: i responsabili della sua morte sono sia i compagni di scuola che, mettendoci ognuno del proprio, hanno contribuito al disagio interiore della ragazza, sia le persone che l’hanno bersagliata di minacce e insulti in rete, dando vita al fenomeno sempre più diffuso del cyber bullismo, che miete tante vittime quanto quello “normale”.
Questo è uno dei motivi principali per cui ho voluto parlare di questo straordinaria opera, forse il più bel drama giapponese che abbia mai visto, e una delle migliori serie asiatiche in generale: oltre che a poter godere di una geniale sceneggiatura e di un cast perfetto, è importante che più spettatori possibili possano godere anche di un messaggio così importane e onesto.
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L’internet e il cyber bullismo
L’argomento del bullismo, soprattutto a scuola, è stato già affrontato in un altro mio articolo, in cui mettevo a confronto realtà e finzione nei drama, e mi ero ripromessa che avrei affrontato anche quello del cyber bullismo in separata sede, perché sebbene possano sembrare lo stesso fenomeno, nella realtà sono due cose ben distinte.
Ecco, mi sembra che non ci sia sede più adatta di quest’opera per analizzarlo: sicuramente ciò che c’è di rilevante da dire, sia sul piano emotivo, sia su quello pragmatico, è stato già affrontato dalla serie, tuttavia, come sempre, vorrei ragionare insieme a voi sulla questione.
Questo drama è un sentito e aperto invito al giusto utilizzo dei social, ormai parte integrante delle nostre vite e in cui investiamo noi stessi tanto quanto nel mondo non virtuale/fisico. Attenzione, ho scelto questo doppio termine (“non virtuale/fisico”) non a caso: avrei potuto scrivere “mondo reale”, ma non l’ho fatto, perché per me è da questo utilizzo ambiguo dei termini che nasce una mal interpretazioni dell’argomento. Se avessi utilizzato “mondo virtuale” e “mondo reale” per distinguere il mondo dell’internet da quello al di fuori, avrei di fatto dato per scontato che uno dei due sia un mondo fittizio, e che per tale natura, va sminuita in partenza la gravità di molte attività che nascono al suo interno.
Questo filone di pensiero purtroppo non fa che fomentare certi tipi di atteggiamenti e di dinamiche: la differenza tra la realtà di internet e quella al di fuori è che uno dei due non prevede la presenza fisica per connettersi agli altri, tuttavia, per fare un esempio, ciò che l’individuo proverà durante le esperienze che vive in una chat di gruppo saranno pari a ciò che proverà a sedere con gli amici al bar, perché di fondo c’è sempre consapevolezza che dietro a ogni nickname ci sia una persona.
Mentre nei primi anni dalla sua nascita, il web poteva essere visto come un surplus alla vita quotidiana, uno strumento come tanti altri per migliorare alcuni aspetti della vita, ora è un secondo mondo in cui viviamo parte delle nostre esperienze, che anche se non fisiche, pesano su di noi, sulla nostra emotività e sulla nostra psiche, allo stesso modo. Il problema è che questo mondo ci è ancora abbastanza sconosciuto perché neonato, e come degli scienziati che sperimentano fino a trovare la formula esatta, stiamo andando avanti a tentativi, non sapendo bene come comportarci e come noi stessi potremmo reagire a certi eventi.
Proprio per questo ci si dovrebbe muovere con maggior cautela, tuttavia quest’ultima viene meno quando si ha a che fare con la gestione, e quindi lo sfogo, dei sentimenti negativi repressi: alcune dinamiche sfrontate, impazienti, imprudenti e nocive vengono amplificate proprio dalla non presenza fisica, perché digitando da dietro uno schermo, si ha coraggio di tenere atteggiamenti che di persona non avremmo mai (ciò è dovuto anche al fatto che sappiamo che si rischiano meno conseguenze negative).
Se però questo mondo non viene percepito “reale” quanto l’altro, allora cosa accade? Che tutto è permesso, tutto è lecito, e si finisce in spirali di odio e cattiveria che non faranno altro che alimentarsi a vicenda e che, come se non bastasse, non rimarranno recluse all’interno della realtà virtuale, ma ovviamente sfoceranno al di fuori.

In questo senso, lo scopo del drama è quello di aprire il vaso di pandora, mettendo in luce il lato oscuro dei social, perché per porre rimedio a una situazione spiacevole, prima bisogna prendere atto che le cose ci siano sfuggite di mano. Tuttavia, subito dopo, richiama l’animo umano alla sua forma più pregevole, che esiste, è certo, ma spesso viene soffocata dalla foga di un vissuto che non ci soddisfa.
Quanto alle soluzioni più pratiche, è ovvio che, come nella vita non virtuale/fisica, sia necessaria una legislazione chiara e precisa, che tuteli gli utenti, dagli altri e anche da loro stessi, che da una parte li faccia sentire al sicuro nelle vie dell’internet come per le vie della propria città, e dall’altra li faccia desistere dall’avere atteggiamenti nocivi, con la speranza che riflettano sul perché è bene non metterli in atto, in modo da ottenere un cambiamento più cosciente.
Purtroppo, nella maggior parte del mondo, siamo ancora sprovvisti di uno stato di diritto al passo con i tempi (così tanto tecnologicamente avanzati), e che nel concreto vada ad occuparsi severamente dei crimini virtuali.
Ipotizzo che questa mancanza è dovuta sia al fatto che a determinate politiche fa comodo avere una popolazione in balia delle “notizie veloci” di internet (molto spesso false) e di un’aria d’intolleranza generale, sia al fatto che, se l’individuo si adatta piuttosto velocemente (pur tramite atteggiamenti errati), le leggi invece hanno dei processi ben più lenti e lunghi per essere pensate e poi poste in essere, dovendosi anche scontrare con forze e fazioni conservatrici, che per definizione, spesso guardano al progresso come al nemico da combattere.
Tornando al Professor Hiiragi, ciò a cui punta maggiormente è sottolineare come il fine ultimo per cui sono stati creati i social non sia distruggere, insultare, diffamare, odiare, minacciare, e via dicendo, bensì, come suggerisce il termine stesso, socializzare, creando allo stesso tempo qualcosa che per noi sia importante e che ci faccia star bene.
A questo scopo, il professore ripete in continuazione “Let’s think!”, ossia “Pensiamo!”, che alle prime volte può dare l’idea di una frase per far scena, ma che nella realtà racchiude il senso intero della serie. Pensare, immaginare, immedesimarsi, comprendere i sentimenti altrui, sono tutti processi vitali nel percorso dell’empatia, che combatte e infine uccide l’insulto facile, la denigrazione veloce e istintiva.
Sembra assurdo che si debba indurre il prossimo a pensare: voglio dire, l’uomo è fatto di pensiero, è la proprietà che ci distingue da qualsiasi altro essere vivente, dovrebbe essere un processo naturale. Eppure, nella società di oggi, stiamo velocemente smettendo di ragionare, di fermarci quel tanto che basta per valutare.

Il discorso che Ibuki tiene verso la fine dell’ultimo episodio, quando si rivolge agli utenti del social Mind Voice (piattaforma fittizia, facsimile dei nostri Facebook, Twitter o Instagram), è l’espressione massima di quanto detto appena sopra, ed è uno dei monologhi più iconici che abbia mai ascoltato in una serie.
Qui possiamo assistere a una scelta registica che secondo me la dice lunga sul sentimento che ha mosso le fila della produzione stessa della serie: quando il professore parla nella webcam rivolgendosi agli utenti, la ripresa è fatta in modo tale da far sembrare che stia parlando anche a noi spettatori, come a dire che nessuno si deve ritenere esente dal guardarsi dentro e dal chiedersi se, anche in piccola misura o inavvertitamente, possa aver preso parte a certe dinamiche cancerogene. Poi magari la risposta sarà negativa, ma farsi un esame di coscienza in più rispetto a uno in meno, non potrà mai risultare uno sbaglio o un perdita di tempo.
Di questa scena ho deciso di riproporre il video, perché oltre alle parole, comunque splendide, è doveroso godere (anche più volte) dell’interpretazione magistrale di Suda, che con questa performance ci dà conferma di essere uno degli attori nipponici più versatili e dalla recitazione più intensa.
Ho voluto tradurla in italiano per coloro che non hanno dimestichezza con l’inglese:
“Ascoltate! Mind Voice è un utile strumento con cui tutti si possono connettere come utenti. Puoi trovare un buon amico, puoi comunicare con chiunque, ovunque e in qualsiasi momento. A seconda dell’utente, potrebbe diventare anche il posto speciale per qualcuno. Anche questo è importante. Tuttavia, come risvolto della medaglia, può essere un dispositivo terrificante e violento. A volte le parole possono diventare delle armi. Non possono essere comparate a dei coltelli. Pugnalano il cuore con dolorosa accuratezza. E’ per questo che voglio che la smettiate. Una parola che pronunciate a caso nei confronti di qualcun altro, potrebbe ferirlo profondamente. Per una vostra soddisfazione, basata su un senso parziale di giustizia, potreste mettere fine alla vita di qualcuno tanto facilmente, attaccandolo brutalmente! Voi, che siete fatti così! Voi, che state guardando in questo momento! Voglio sinceramente che la smettiate di comportarvi così. Prima di seguire la maggioranza, prima di dire cattiverie sugli altri, guardate prima voi stessi! Non è forse più importante migliorare sé stessi, prima di giudicare gli altri? Voglio dire, non è più divertente? Quegli occhi… quello bocca e quelle mani… non sono state create per ferire il prossimo! Sono state create per condividere la vostra gioia con qualcuno, e per rendere felici gli altri. E’ a questo scopo che dovreste usarle! Giusto? Siate più gentili con le persone! Prendetevi più cura di voi stessi”.
Dopo questo, che dire? Molto spesso, come Ibuki, mi chiedo: “Perché, in quanto uomini, sentiamo il bisogno di far del male agli altri, per stare meglio noi? Come può la cattiveria dare soddisfazione o far sentire più forti?”. Proprio come il Professor Hiiragi, non voglio abbandonarmi all’idea che per l’uomo non ci sia speranza di migliorare. Voglio invece credere che questo margine di miglioramento esista, che fermandoci a riflettere quell’attimo di più, fermandoci a soppesare le nostre parole e i nostri gesti, tante ferite si potrebbero evitare e tante persone verrebbero salvate.
E, prendendo spunto da ciò che dice questo “pazzo” e lungimirante professore, se anche una sola persona si fermerà qualche secondo in più a riflettere e cambierà la sua rotta, positivamente influenzata dal drama o dal mio articolo/recensione, allora sarà comunque una vittoria: un commento di disprezzo, di violenza in meno scritto da qualcuno, è una ferita in meno inferta a qualcun altro.
Let’s Think!
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